Le regioni del nord presentano più spesso indicatori di benessere con valori migliori rispetto alla media nazionale, mentre il mezzogiorno ha ancora situazioni di marcato svantaggio, soprattutto nel mondo del lavoro e delle relazioni sociali. È quanto emerge da uno studio dell’Istat pubblicato in occasione della settima edizione del Forum on Well-Being, organizzato da Ocse a Roma in collaborazione con l’istituto di statistica e il Ministero dell’economia.
L’istruzione
Secondo l’indagine, il livello di istruzione si conferma un elemento cruciale per il benessere, infatti la maggior parte degli indicatori dicono che all’aumentare del livello culturale cresce il benessere. Pertanto «politiche educative orientate a migliorare l’accesso all’istruzione superiore e universitaria, particolarmente nelle aree svantaggiate e per le fasce di popolazione più vulnerabili, possono costituire un fattore di crescita dell’equità del benessere». Gli indicatori di benessere rilevano, dice sempre lo studio dell’Istat, in alcuni casi un vantaggio per i più giovani, ad esempio il 93,9 per cento della fascia tra 25 e 34 anni usa regolarmente internet, contro il 57 per cento degli over 55.
Stili di vita
Per gli stili di vita, i giovani sono meno sedentari dei più adulti, 26,8 contro 45,8, ma è più diffusa l’abitudine al fumo 26,9 per cento contro il 14,4 degli ultra 55enni. Infine, le disuguaglianze intergenerazionali pongono i giovani adulti in una condizione di vulnerabilità economica, che potrebbe avere ripercussioni nel lungo periodo, non solo a livello individuale ma anche per la coesione sociale e lo sviluppo del Paese. «Occorre affrontare queste criticità con strategie mirate a ridurre le barriere di accesso al lavoro – affermano gli autori del rapporto – a garantire continuità lavorativa e prospettive di avanzamento e a migliorare le opportunità di realizzazione delle nuove generazioni».
Partecipazione culturale
Un dato che emerge con forza, poi, è la partecipazione culturale fuori casa tra le donne. Chi è residente al nord è oltre otto volte più dinamica rispetto a quella delle donne e del Mezzogiorno, soprattutto nei confronti di chi ha bassa scolarizzazione. Anche se dal punto di vista delle disuguaglianze di genere, «notevoli sono stati i progressi in ambito educativo e culturale per le donne: una giovane donna su tre, nella fascia d’età sempre tra 25 e 34 anni è laureata contro uno su quattro tra gli uomini, inoltre i percorsi di istruzione femminili si distinguono per migliori risultati, con meno abbandoni e competenze più elevate.
Nonostante questo, però, «le donne continuano a essere penalizzate sul mercato del lavoro, evidenziando un gap persistente nei tassi di occupazione: 56,5 per cento rispetto al 76 degli uomini, per la presenza nelle posizioni di rappresentanza politica, ai vertici delle istituzioni e nelle condizioni economiche», dicono sempre i risultati dell’indagine anche se allo stesso tempo, affermano gli autori, «il maggiore investimento femminile nell’istruzione costituisce un fattore di potenziale attenuamento di questa disparità in futuro».
Infine, c’è il rischio povertà che «tra i 25 – 34enni residenti nel Mezzogiorno con basso titolo di studio è 25 volte più alto di quello tra i residenti al Nord con alto titolo di studio, nel dettaglio il 56,7 per cento contro 2,2», rileva l’indagine che ancora una volta fotografa come le disparità siano ancora da colmare.