Resta incandescente il clima nella maggioranza regionale all’indomani del rimpastino che ha favorito l’ingresso in giunta dell’ex presidente di commissione Fabiano Amati di Azione.
Una nomina indigesta per il gruppo pugliese dei calendiani che avrebbe indicato il capogruppo Ruggero Mennea. Sul banco degli imputati è finito il governatore Emiliano reo di aver schiacciato il dibattito interno ignorando persino l’ascolto del leader nazionale Carlo Calenda, contattato via sms, ma senza un effettivo colloquio prima della firma sul decreto di nomina di Amati.
Il risiko maggioranza
Il rischio ora è che la maggioranza resti a corto di numeri vista la posizione critica assunta dal capogruppo Mennea e dal collega Sergio Clemente per non parlare di altri mal di pancia scoppiati nel Pd -il consigliere brindisino Maurizio Bruno- o fra i civici con il presidente della commissione sanità Mauro Vizzino della civica Per la Puglia.
La versione di Mennea
Ieri sul caso Amati è tornato il capogruppo di Azione Mennea che ha raccontato la sua verità sugli accostamenti al centrodestra per l’appoggio alla lista civica “Amico” in corsa alle comunali di Barletta.
«È falso – dichiara Mennea in una nota – che Azione sia entrata a far parte del governo della città di Barletta in quanto non ha partecipato alle scorse comunali e per il semplice fatto che all’epoca non esisteva nemmeno gruppo regionale». Respinte anche le accuse sulla lista civica “Amico”, ritenuta vicina a Mennea, che dall’inizio appoggiava il sindaco Cannito e di conseguenza ha ottenuto un assessorato dopo la vittoria elettorale. Un riconoscimento dovuto al percorso della civica che successivamente ha visto alcuni simpatizzanti avvicinarsi ad Azione.
E così: «Chi strumentalizza la vicenda o è in mala fede o manipola la verità per raggirare i cittadini o, al massimo, per fare cabaret politico propagandistico». In concreto una scusa da dare in pasto alla stampa per giustificare il veto contro Mennea piovuto dal collega consigliere Pd Filippo Caracciolo, ex capogruppo, barlettano anche lui. Da qui l’affondo di Mennea su un altro veto non andato in porto, quello del consigliere Pd Bruno ed altri contro Amati. «Non si capisce come mai si siano usati due pesi e due misure per l’amministrazione di Brindisi», fa notare Mennea, «dove Azione è stata un perno della coalizione di centrodestra grazie proprio ad Amati che all’epoca era commissario regionale del partito».
Il sale sulla ferita
Poi sparge sale sulla ferita rispedendo i veleni ricevuti nel campo del centrosinistra e del Pd. «Mi vien da dire da che pulpito viene la predica se è vero che il Pd governa la provincia Bat al fianco di Forza Italia senza contare altri casi nel resto del territorio pugliese».
Da qui la conclusione: «Se c’è stato un veto nei miei confronti», osserva Mennea, «siamo di fronte ad un indebito condizionamento politico – e vorrei credere che non sia di altra natura – nei confronti di chi dovrebbe decidere liberamente».
Il riferimento, ovviamente, è al presidente Emiliano. Da ultimo Mennea auspica «un approfondimento per capire quali interessi politici o di altra natura legano tra loro i personaggi che pongono tali presunti veti e chi li accetta».
La riunione romana
Intanto nei prossimi giorni il gruppo di Azione valuterà il da farsi alla Regione Puglia in un incontro programmato con i vertici romani, il leader Calenda in primis. Nella riunione saranno affrontate due questioni: l’eventuale espulsione di Amati da Azione e l’uscita dalla maggioranza regionale. In vista dell’appuntamento gli sherpa del Pd sono al lavoro per convincere i vertici di Azione, l’onorevole Rosato in primis, per accomodare il nuovo caso Puglia.