Una asse bipartisan in Consiglio regionale punta ad affossare le candidature dei sindaci alle prossime elezioni regionali d’autunno. Il messaggio è arrivato chiaro e forte dalla seduta di ieri che ha riportato in auge il tema della ribattezzata legge anti-sindaci, ma sarebbe meglio dire comma anti-Decaro come fu definito a caldo dopo la prima approvazione a dicembre 2024.
Il candidato in pectore del centrosinistra Antonio Decaro, infatti, da tempo sta arruolando nelle sue liste diversi primi cittadini, come la sindaca di Andria Giovanna Bruno, quello di Fasano Francesco Zaccaria, o Stefano Minerva di Gallipoli o, ancora, mister preferenze d’Italia, il sindaco di Mesagne Toni Matarelli. Un disegno messo in discussione dalla norma, approvata con un blitz in aula, che anticipa di sei mesi le dimissioni dei primi cittadini in procinto di correre alle regionali. Un testo finito sotto la lente del governo centrale che l’ha osservata e inviata alla Consulta, la quale si appresta ad esprimersi il 9 luglio.
Il dibattito
In questi mesi maggioranza e opposizioni non hanno trovato un accordo sulla norma contestata e ieri le divisioni si sono cristallizzate in chiave anti-sindaci. Destra e sinistra, in pratica, si sono coalizzate per sbarrare la strada alle fasce tricolori, notoriamente ben radicate nell’elettorato e in grado di sottrarre consensi preziosi a consiglieri e assessori uscenti.
E così ieri, rompendo gli accordi raggiunti in conferenza dei capigruppo i consiglieri di centrodestra hanno depositato un emendamento alla legge sul Terzo Settore per ridurre le tempistiche delle dimissioni dagli attuali 180 giorni dalla fine della legislatura, a 45 giorni. Il capogruppo del Pd, Paolo Campo ha chiesto di ritirare l’emendamento perché, ha spiegato, «sul tema è stato più volte cercato un accordo in realtà mai trovato. Ci eravamo ripromessi che in assenza di intesa si evitasse di affrontare il tema».
Il voto
Alla fine la modifica è passata con voto segreto grazie a 21 voti favorevoli, ma l’esito è stato contestato in quanto per la modifica della legge elettorale serve il quorum assoluto di 26 voti. A stretto giro un altro colpo di scena sul subemendamento, sullo stesso tema, presentato dal capogruppo di Per la Puglia, Antonio Tutolo.
Che puntava a ripristinare il contenuto della proposta di legge già iscritta all’ordine del giorno con l’abrogazione della norma principale dei sei mesi per tornare a quella precedente che stabiliva l’incompatibilità per i sindaci (imponendo dimissioni dalla carica se eletti in Consiglio) e non l’incandidabilità. Il centrodestra ha richiesto anche su questo punto il voto segreto.
La modifica, sulla carta appoggiata dal centrosinistra, è stata bocciata con 28 voti contrari, ben 9 in più arrivati dalla maggioranza rispetto ai 19 delle minoranze di centrodestra. Un segnale chiaro e diretto all’ex sindaco di Bari Antonio Decaro che dovrà fare i conti con una schiera di consiglieri uscenti non disponibili ad accettare i sindaci in lista.