Nel corso di un evento a Lecce, sabato scorso, l’eurodeputato Antonio Decaro ha detto che quando sarà il momento valuterà la sua candidatura a presidente della Regione Puglia con i cittadini ma «senza forzature e senza tutela da parte di nessuno: non ho mai avuto tutori nella mia attività politico-amministrativa», ha affermato.
Parole che, da più parti, sono state interpretate come rivolte alla presenza in lista dell’attuale governatore Michele Emiliano e dell’ex presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola.
Stamattina, a margine della conferenza stampa di presentazione del Medimex a Taranto, Emiliano, a chi gli chiedeva se si sentisse chiamato in causa, ha risposto: «Io non sono tutore di nessuno, ci mancherebbe».
Poche dichiarazioni e misurate, dunque, ma il clima nel centrosinistra pugliese sembra scaldarsi in vista delle regionali. La risposta di Emiliano, però, sembra serva a buttare acqua sul fuoco visto che il candidato superfavorito del centrosinistra, ex sindaco di Bari che alle europee ha raccolto mezzo milione di preferenze, nelle ultime settimane avrebbe messo un «se» dinnanzi all’ipotesi di candidarsi, cosa che fino a qualche mese fa sembrava pressoché scontata.
Un ipotetico ritiro di Decaro metterebbe nei guai il centrosinistra annullando il vantaggio che allo stato c’è col centrodestra che, tra ipotesi avanzate e poi accantonate, non ha ancora un candidato su cui puntare.
Ma non appare preoccupato della situazione il segretario regionale del Pd, Domenico De Santis, che sulla questione candidati taglia corto: «Noi vogliamo occuparci delle persone e non delle personalità», chiarendo che sulle regionali «stiamo discutendo del programma».
In tutto questo, domani tornerà a riunirsi il consiglio regionale e per la maggioranza si concretizzerà la perdita di un seggio (l’ex assessore Delli Noci si è dimesso perché indagato, lasciando il posto al primo dei non eletti Antonio Raone passato nel frattempo in FI) e la conseguente difficoltà ad approvare qualsiasi provvedimento senza il sostegno almeno di parte dell’opposizione: 26 voti su 51, compreso il presidente e i dissidenti, sono troppo pochi per godere di autonomia.