«Stiamo abbandonando intere generazioni a loro stesse, lasciandole vivere un profondo disagio». A lanciare l’allarme è il pedagogista esperto in devianza minorile, Raffaele Diomede. In questo contesto si inserirebbero, dunque, anche gli ultimi episodi di violenza avvenuti tra giovani in Puglia.
Quali sono le cause principali del fenomeno?
«Alla base della violenza giovanile c’è spesso una mancanza di empatia, ovvero l’incapacità di controllare i propri comportamenti e di comprendere le emozioni altrui. E così, i ragazzi manifestano il loro malessere attraverso atti violenti. In passato, atti predatori come furti o rapine potevano essere alla base delle aggressioni. Oggi, invece, la violenza è spesso fine a se stessa, priva di un obiettivo concreto».
Ci sono dei contesti in cui questa violenza emerge maggiormente?
«Si tratta spesso di contrasti tra giovani di quartieri diversi, che intendono mettere in atto azioni punitive o regolamenti di conti per affermare la propria supremazia territoriale. Le risse diventano un modo per ostentare prestigio e potere nei propri ambienti, ma queste dinamiche portano inevitabilmente a epiloghi gravi. Inoltre, i social non aiutano, perché ormai rappresentano un palcoscenico dove i ragazzi mostrano il proprio status, alimentando rivalità e comportamenti aggressivi».
Che ruolo hanno le scuole e le famiglie?
«Fin dalle elementari è possibile cogliere i segnali di disagio nei bambini, come piccoli atti di bullismo. Questi comportamenti, se non vengono compresi e affrontati tempestivamente, possono degenerare in violenza vera e propria, arrivando nei casi peggiori a trasformarsi in reati. Le famiglie, da parte loro, hanno una responsabilità determinante.
Molti ragazzi abbandonano le scuole perché provengono da contesti familiari caratterizzati da una povertà di valori e da mancanza di riferimenti educativi solidi. Molti ragazzi si indebitano per pagare il gioco d’azzardo, e questo li spinge ulteriormente verso comportamenti devianti. Inoltre, stiamo assistendo a un incremento del consumo di sostanze stupefacenti, in particolare droghe chimiche spesso prodotte in casa. Questi sono tutti segnali di un disagio profondo che non possiamo più ignorare».
Come si può arginare questa ondata di violenza?
«Non basta la repressione: serve un’educazione efficace. Le misure punitive come il carcere non sono una soluzione. Ciò di cui abbiamo bisogno è un lavoro educativo e pedagogico mirato, che aiuti i giovani a sviluppare empatia e a gestire i propri comportamenti. Questo significa coinvolgere educatori, psicologi e professionisti del settore per intervenire in modo tempestivo e strutturato. Bisogna creare un sistema di supporto che sappia cogliere i segnali di disagio e agire prima che le situazioni possano degenerare».