Nei giorni scorsi aveva ricevuto una lettera da Giorgia Meloni che poi ha anche incontrato. Oggi Mirna Mastronardi, mamma di Dea – 15enne morta suicida il 4 ottobre scorso a Pisticci – è intervenuta nella Commissione regionale di studio e d’inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata in Puglia, presieduta per la prima volta da Luigi Caroli.
«È assurdo vedersi portare via i figli per un algoritmo che individua la debolezza di una ragazzina che magari è sovrappeso e un attimo dopo le mostrerà un’immagine su come dimagrire vomitando, poi come andare all’ospedale per farsi alimentare da un sondino. Io ho trovato questi disegni nei quaderni di mia figlia. Mia figlia non era anoressica, però aveva il corpo della mamma, aveva la sua cellulite, i fianchi larghi», ha raccontato Mastronardi.
La sua è stata la testimonianza di un genitore «distrutto dal dolore».
Mirna Mastronardi ha riferito che «mia figlia Dea non ha dato alcun segnale. Nel computer dagli inquirenti, che hanno fatto un lavoro minuzioso, non sono stati trovati video, fotografie magari spinte. Nulla di tutto questo. Non sono stati trovati neanche messaggi che potrebbero far pensare al bullismo o all’incitamento al suicidio. Lei non era una ragazzina con grandi pretese, ma si sentiva comunque diversa».
Di qui un appello affinché ogni ragazzo abbia «pari diritti», non si senta «diverso. Le istituzioni devono premiare il merito. E quello – ha spiegato oggi Mirna Mastronardi – che mi diceva l’altro giorno la presidente Meloni. Dobbiamo individuare gli strumenti giusti per premiare il merito di ragazzi che sono capaci. Questi talenti non possono essere buttati. Perché io devo sentire nel gruppo classe delle “mio figlio non andrà perché non possiamo permettercelo?”. Ma perché la scuola non è un diritto di tutti ed il viaggio d’istruzione non è un diritto di tutti? Perché dobbiamo far sentire i ragazzi poveri? Perché non dobbiamo riconoscerlo noi questo diritto?».
Dietro il suicidio di una ragazza come Dea e di tanti altri ragazzi «c’è un puzzle più ampio», ha detto la madre della 15enne: «Sicuramente mia figlia si sentiva diversa in un mondo che i social mettono in vetrina. I ragazzi vivono nei social», ha sottolineato.
La donna ha spiegato che «c’è un iPad di mia figlia che non è stato aperto. Non si riesce ad aprire perché la Apple non lo fa forzare e nel mondo non è stato creato il software per forzare quel tipo di modello. Quindi sappiamo quello che c’è nel suo telefono, ma – ha concluso – non sappiamo quello che c’è nell’iPad dove lei scriveva».