Fratelli d’Italia prova ad accelerare sulla “madre di tutte le riforme”, ovvero la modifica costituzionale al cui interno c’è l’elezione diretta del presidente del consiglio dei ministri. I lavori parlamentari, partiti speditamente in un primo momento, vanno a rilento in Commissione affari costituzionali al Senato e si accende lo scontro con l’opposizione sull’ostruzionismo, visti i 2600 emendamenti presentati in particolare dal Pd e da Alleanza verdi e sinistra.
L’esame del testo riprende martedì, dopo la mini pausa per le vacanze pasquali, quando si voterà il cuore della riforma, ovvero proprio l’emendamento del Governo sulla elezione da parte dei cittadini del premier, voluta fortemente dalla titolare di Palazzo Chigi, Giorgia Meloni.
Il cammino, tuttavia, è ancora lungo, due letture in ciascuno dei due rami del Parlamento e il referendum, che ormai maggioranza e Governo danno per scontato. Per Luca Ciriani, Ministro per i rapporti con il Parlamento: «questa riforma non l’abbiamo pensata per ottenere un vantaggio per Meloni, serve al nostro Paese, che non conosce il termine stabilità».
Si scaglia, invece, contro le opposizioni il presidente della Commissione Affari Costituzionali Alberto Balboni: «Il Movimento 5Stelle era partito bene, con solo venti emendamenti, manifestando l’intenzione di un confronto di merito. Poi si è fatto trascinare dalla foga ostruzionistica di Pd e Sinistra e adesso partecipa con entusiasmo all’ostruzionismo, intervenendo su ogni emendamento». Dalle opposizioni «mi aspettavo lo stesso atteggiamento dell’autonomia».
E anche per la stessa legge sull’Autonomia differenziata, approvata in prima lettura dal Senato, il percorso parlamentare rallenta: le audizioni riprendono mercoledì con alcuni presidenti di Regione, mentre giovedì è previsto l’intervento del professor Francesco Astone dell’Unifg, titolare della cattedra di diritto civile.
Intanto, prosegue l’impegno del Pd contro la legge anche con iniziative pubbliche, come quella a Brindisi mercoledì scorso in cui Antonio Decaro ha ribadito che «già il termine autonomia differenziata ci fa pensare a un Paese diviso e fratturato dove il Sud viene abbandonato al proprio destino. Siamo lontani dallo stereotipo di un Sud piagnone che chiede soldi».