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Parto in anonimato: piccole, sole, spaventate e poco informate

Due i casi drammatici che hanno scosso l’Italia negli ultimi tempi, ma molti altri potremmo non averli mai scoperti. In provincia di Padova, una neonata partorita nei bagni di un locale notturno trovata senza vita: la madre, Melissa Russo, 29 anni, originaria della Puglia, è accusata di averla soffocata. Nel Parmense, una 21enne, Chiara Petrolini,…
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Due i casi drammatici che hanno scosso l’Italia negli ultimi tempi, ma molti altri potremmo non averli mai scoperti. In provincia di Padova, una neonata partorita nei bagni di un locale notturno trovata senza vita: la madre, Melissa Russo, 29 anni, originaria della Puglia, è accusata di averla soffocata. Nel Parmense, una 21enne, Chiara Petrolini, è sotto inchiesta per omicidio e soppressione di cadavere, dopo il ritrovamento di due neonati sepolti nel giardino di casa.

Storie che hanno un filo comune: donne giovani in grave difficoltà, senza un sostegno adeguato, che hanno vissuto la gravidanza come un peso, una vergogna. Eppure, in Italia esiste uno strumento previsto dalla legge che avrebbe potuto evitare episodi drammatici come questi: il parto in anonimato.

Un diritto inviolabile

Il parto in anonimato consente a ogni donna di mettere al mondo il proprio bambino in ospedale, senza essere costretta a riconoscerlo. La madre resta tutelata, non deve neppure rendere noti i suoi dati anagrafici, e il neonato viene accolto in un percorso protetto. Si tratta di una possibilità riconosciuta e garantita in tutto il Paese, ma che resta per niente conosciuta in Puglia. Il Piemonte, per esempio, è Regione pilota: ha interessato quattro enti (Comune di Torino, Comune di Novara, Cissaca di Alessandria e Consorzio dei Servizi CSAC di Cuneo) che offrono supporto sia prima che dopo il parto, garantendo la segretezza e fornendo sostegno alla donna fino a 60 giorni dopo la nascita, e al bambino fino all’adozione definitiva. I servizi sono accessibili indipendentemente dalla nazionalità o residenza. Grande peso all’informazione, con brochure tradotte in diverse lingue.

La situazione in Puglia

In Puglia, però, di questo diritto si viene a sapere solo per passaparola o se si incontra qualche (raro) operatore sociale ben informato. Tutti gli ospedali sono autorizzati ad accogliere una donna che desideri partorire in anonimato, ma manca completamente l’informazione. Non un opuscolo, non una campagna di sensibilizzazione, non un numero verde a cui rivolgersi. E nessuna assistenza psicologica immediatamente dopo il parto, come accade in Piemonte. La scelta viene lasciata alla decisione delle singole donne che possono recarsi autonomamente in un consultorio.

Un paradosso doloroso, come sottolineano gli operatori sociali: «Non possiamo aspettare che accada una tragedia anche qui. Le donne devono sapere che non sono obbligate a portare a termine la gravidanza nel silenzio e nella paura».

La formazione

Nei mesi scorsi, due casi con la stessa matrice in due ospedali pugliesi che hanno ospitato un parto in anonimato: in un caso, pubblicata la foto del viso del bimbo, nel secondo giudizi taglienti sulla scelta della madre di lasciare il neonato in ospedale. Scatenato il caos con rimozione immediata dei post: ma evidentemente è necessario che la Regione formi ancor più adeguatamente chi si affianca a queste partorienti, spesso giovanissime, con la massima discrezione.

La richiesta

Ora la palla passa alla Regione Puglia per attivarsi subito, con campagne chiare e diffuse, in ospedale, nei consultori, sui mezzi di comunicazione. Dare alle donne informazioni tempestive e concrete, per evitare casi di abbandono traumatico o, peggio, di infanticidio. Perché dietro ogni storia di cronaca ci sono vite spezzate che potevano essere salvate con un pregiudizio in meno.

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