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Lino Banfi: «Lucia non c’è più, ma le parlo ancora. Il futuro? Un film con Pio e Amedeo» – L’INTERVISTA

Inizia con una riflessione malinconica l’intervista a Lino Banfi, volto sorridente e irriverente dello spettacolo italiano, che da sempre evoca comicità e leggerezza. Ma dietro la battuta pronta, affiora una sensibilità profonda. L’attore pugliese ha deciso di partecipare al cortometraggio realizzato per la canzone “Lo ricordo io per te” di Michele Bravi, un progetto che…

Inizia con una riflessione malinconica l’intervista a Lino Banfi, volto sorridente e irriverente dello spettacolo italiano, che da sempre evoca comicità e leggerezza. Ma dietro la battuta pronta, affiora una sensibilità profonda.

L’attore pugliese ha deciso di partecipare al cortometraggio realizzato per la canzone “Lo ricordo io per te” di Michele Bravi, un progetto che affronta il tema delicato dell’Alzheimer. Per Banfi è stato un momento catartico, che lo ha riportato alle difficoltà vissute accanto alla moglie Lucia, colpita dalla malattia prima della sua scomparsa. Un atto d’amore, di dolcezza, di quasi confessione. Perché quando l’amore se ne va, ogni uomo si ritrova solo con le proprie fragilità.

Come è nata la collaborazione con Michele Bravi?

«Un giorno Mara Venier, amica di lunga data, mi chiede: “Lino, conosci Michele Bravi?”. Le rispondo che sapevo fosse un cantante, ma non lo conoscevo di persona né avevo mai ascoltato le sue canzoni. E lei: “Ti mando un brano, ascolta che voce ha”. Mi aspettavo il solito rapper tatuato, invece ho scoperto un ragazzo d’oro, con una sensibilità incredibile. Un ragazzo delicato, con una voce bellissima, profonda, quasi baritonale».

Com’è andato il primo incontro tra voi?

«È venuto a casa mia. Cercava di non farlo vedere, ma era emozionato. Guardava le foto, i manifesti dei film. Quando siamo arrivati al discorso del cachet, ho detto: “No, ti prego nipote mio. Non parliamo di cachet, già prendo cinque pillole al giorno! (ride ndr). Lo faccio gratis, perché l’idea mi piace”. Abbiamo girato a Città di Castello, la sua città natale, dove è cresciuto con i nonni».

Un tema molto sentito quello dell’Alzheimer.

«In tantissime famiglie italiane c’è una situazione simile. Io ormai sono diventato una specie di esperto, mi invitano alle tavole rotonde con neurologi, psicologi. E io dico: “Che c’entro io? Sono un povero disgrazieto di attore, mica sono un medico!”. Però, a quanto pare, l’esperienza che ho vissuto stando vicino a mia moglie durante la malattia, vale più del solo studio sui libri. Qualche anno fa mi scrissero una lettera dalla Slovenia, dove in un istituto di donne con l’Alzheimer facevano vedere “Vieni avanti cretino” come terapia. Non capivano quello che dicevo, ma ridevano lo stesso, riuscendo a muovere quei muscoli facciali che di solito restano fermi a chi soffre di questa patologia. Questo per me è stato uno sprone enorme».

Lei ha amato sua moglie Lucia per oltre sessant’anni. Quanto salva una storia d’amore così lunga?

«Moltissimo. È stata la mia ragione di vita. A casa ho due sagome a grandezza naturale: una di Lucia e una del principe De Curtis. Me le hanno regalate alla Rai. Dicevano: “Sono le due persone che hanno fatto la tua carriera”. Un giornalista ha scritto un libro di 480 pagine sui miei personaggi. Pensavo fosse un vocabolario (ride ndr). In realtà studiava proprio i miei ruoli, i miei linguaggi. E diceva: “Hai avuto anche la fortuna di avere una donna come Lucia, che conoscevi da quando eravate bambini”».

Si ricorda come vi siete conosciuti?

«Ero appena uscito dal seminario, avevo quasi 16 anni. Gli amici mi dicevano: “Devi trovarti una fidanzata”. Io non sapevo neanche cosa volesse dire. Mi indicarono una ragazzina che passava ogni giorno dal bar dove ci riunivamo. Faceva la discepola di una parrucchiera, imparava il mestiere e anche a rammagliare le calze. Le chiesi: “Signorina, posso parlarle?”. E lei: “Vattin, vattin”. Ma il giorno dopo ci siamo rivisti. Le dissi: “Ti voglio conoscere, sei carina”. E lei, scappando, mi fa: “Domani a quest’ora, ciao”. Così è cominciata».

Facevate colazione insieme?

«No, era impensabile. All’epoca una donna che prendeva un caffè con un uomo era già compromessa. Ci vedevamo di nascosto. Dieci anni di fidanzamento e poi 61 di matrimonio. Quindi 71 anni insieme. Ecco perché, quando mi chiedono: “Quando ha conosciuto sua moglie?”, io rispondo: “Da sempre”».

Quali canzoni hanno segnato il vostro amore?

«Stranamente, pur essendo del Sud, non ci piacevano le canzoni di Lilla Pizzi o Achille Togliani. Preferivamo i gospel, lo spiritual, il jazz. Armstrong, Ella Fitzgerald, Nat King Cole. Io li imitavo anche nei miei spettacoli. Usavo la calza di mia madre sulla testa per sembrare un cantante nero. Era originale, diverso dagli altri attori che imitavano Totò o Fabrizi».

C’è un viaggio con Lucia che ricorda con particolare affetto?

«Il primo viaggio insieme fu una “fuitina” da Canosa a Bari, con una vecchia macchina. Quel periodo facevo un programma a “Radio Bari”, La Caravella, un varietà della domenica pomeriggio, con una giovane attrice, Lucia Zotti, che ho rivisto di recente dopo settant’anni proprio per girare il corto con Michele Bravi. Sono strani i disegni della vita».

E un viaggio che non avete mai fatto?

«Quando eravamo poveri e pieni di debiti sognavamo una crociera. Anche quando le cose sono iniziate ad andare bene però, non abbiamo mai trovato il tempo di farla. Questo lo rimpiango sempre un po’».

Continua a parlare a Lucia, anche se non c’è più?

«Sempre. Ogni giorno. Vado nel mio studio, saluto prima Totò – il principe va salutato prima per età – poi lei. Faccio dei veri e propri discorsi, le racconto cosa succede, le chiedo aiuto. Anche dal punto di vista artistico, a volte parlo col principe. Gli ho chiesto: “Secondo te come lo chiamiamo questo lavoro con Michele Bravi? Cortometraggio o lungometraggio?”. E lui mi fa: “Largometraggio”, perché sono grosso (ride ndr)».

Quello con Bravi più che un corto può quasi sembrare il soggetto di un film.

«Certo, potrebbe esserlo, perché è un tema che riguarda tutti. Magari ci penso. A proposito di film, forse faremo qualcosa con Pio e Amedeo. In un loro film potrei fare una partecipazione importante, interpretando un anziano con l’Alzheimer».

Lei ha fatto ridere l’Italia prima ancora che capisse di avere bisogno di ridere. Secondo lei, oggi, di cosa ha bisogno il nostro Paese?

«Di tranquillità, di serenità. Bisogna trovare un equilibrio tra il cervello nostro – quello vero – e questi telefoni maledetti che ci stanno rovinando. Rischiamo di sembrare tutti con l’Alzheimer, anche chi sta bene. Una volta, parlando al Campus Biomedico di Roma dissi: “Oggi siamo molto più social, ma molto meno sociali”. Poi aggiunsi: “Viviamo col carpe diem… o trote diem, a seconda del lago in cui ci troviamo”. Feci questa battuta pensando “ora diranno: questo è colto!”. Risero tutti, ma poco dopo sentii uno che, sottovoce, diceva al presentatore dell’evento: “Ammazza quanto è bravo Banfi. Ma da quanto tempo ha l’Alzheimer? Confonde le parole” (ride ndr). E allora ho capito che non c’è spazio per le battute colte, dobbiamo rimanere sempre ignoranti. L’intelligenza artificiale ci aiuterà (sorride ndr)».

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