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Occupazione in Ue, Sud fanalino di coda: all’Italia il primato delle disparità regionali

L’Italia meridionale si conferma maglia nera in Unione europea per il tasso di occupazione, considerato come la percentuale rispetto alla popolazione totale comparabile di persone che hanno lavorato almeno un’ora retribuita, ma anche le persone in congedo di malattia o maternità e tutte quelle che, seppur non avendo lavorato durante il periodo di riferimento hanno…
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L’Italia meridionale si conferma maglia nera in Unione europea per il tasso di occupazione, considerato come la percentuale rispetto alla popolazione totale comparabile di persone che hanno lavorato almeno un’ora retribuita, ma anche le persone in congedo di malattia o maternità e tutte quelle che, seppur non avendo lavorato durante il periodo di riferimento hanno ancora contatti con il loro impiego tra i 20 e i 64 anni. A rilevarlo è l’Eurostat in base ai dati del 2023 nel suo ultimo rapporto, certificando il tasso di occupazione dell’Ue nel complesso al 75,3%, in aumento di 0,7% rispetto al 2022.

Se nella regione della capitale polacca di Varsavia si osservava il tasso di occupazione più alto lo scorso anno, pari all’86,5%, in tre regioni italiane meno della metà della popolazione in età lavorativa era occupata, rispettivamente Calabria e Campania (entrambe con un tasso del 48,4%) e Sicilia (48,7%) seguite in quarta posizione dalla Puglia (54,7%). Analoghe percentuali sono riscontrabili solo in alcune aree sudorientali della Turchia, Paese che non è membro dell’Unione Europea. Mentre meglio del Sud Italia fa l’Andalusia, regione spagnola notoriamente in ritardo rispetto al resto del Paese, la Bosnia, e i dipartimenti francesi d’oltre oceano come la Martinica e Guadalupe che per decenni si sono piazzati in coda alla classifica.

Le disparità territoriali

L’ufficio statistico dell’Ue assegna all’Italia anche il primato delle disparità regionali interne più elevate con un coefficiente di variazione del 16,3%, davanti a Belgio (8,5%) e Romania (7,7%). Guardando alle percentuali regionali nel dettaglio, a far meglio sono la Val D’Aosta (con un tasso di occupazione del 77,3%), Emilia Romagna (75,9%), seguite da Veneto (75,7%), la provincia autonoma di Trento (75,6%), Lombardia (74,6%), Toscana (74,5%), Friuli Venezia Giulia (73,8%), Marche (72,6%), Piemonte e Liguria (entrambi a 72,2%), Umbria (71,8%), Lazio (68,1%) e Abruzzo (66%).

Seguono infine Molise (60,9%), Sardegna (59,9%) e Basilicata (59,1%), con Puglia, Campania, Sicilia e Calabria fanalini di coda. Un divario però, quello tra le regioni italiane, che si sta lentamente riducendo: dieci anni fa il coefficiente di variazione era di 18,8%, nel 2022 di 16,8%. Ma su cui grava ora l’incognita dell’autonomia differenziata voluta dal governo Meloni. All’altro capo della classifica, i Paesi più omogenei per tasso di occupazione nelle proprie regioni sono stati Portogallo, Danimarca, Finlandia e Paesi Bassi.

L’analisi nazionale

Pochi laureati, troppi abbandoni scolastici, un tasso di popolazione a rischio povertà o esclusione sociale “critico”, e misure governative che non aiutano. Dall’istruzione al mercato del lavoro, dunque, passando per la mai risolta questione meridionale, l’Italia sembra aver fatto poco o niente per correggere la rotta. Anzi, il dato che emerge dalle rilevazioni di Eurostat è un deterioramento della situazione a causa di scelte politiche su cui l’Unione europea accende i riflettori e chiede interventi. E tutto questo si conferma vero soprattutto al Sud. È qui che si registra in modo evidente quanto registrato dalla Commissione europea.

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