«Il commercio, la speculazione e il business sulla pelle degli esseri umani sono attività ignobili, un delitto contro l’umanità. Peggio ancora se si tratta di persone in difficoltà, in condizioni di povertà, in fuga da guerre e violenze. Ancor di più in questo momento una società veramente civile dovrebbe garantire corridoi umanitari per queste persone. Corridoi in grado di garantire solidarietà e sicurezza, ma anche di impedire il proliferare di organizzazioni criminali che fanno affari con gli sbarchi e la tratta delle persone».
Sono chiare e durissime le parole dell’arcivescovo di Lecce, Michele Seccia. Il presule parla all’indomani dell’inchiesta internazionale, condotta dalla Dda e dalla guardia di finanza di Lecce, che ha scoperto un’organizzazione criminale che faceva affari con il traffico illegale di migranti. Uomini, donne e bambini costretti a pagare anche fino a 10mila euro a testa per un viaggio della speranza. Il presule si sofferma sull’inchiesta subito dopo aver presenziato, ieri pomeriggio, presso la caserma Nacci di Lecce, alla cerimonia durante la quale il comandante del Reggimento Cavalleggeri di Lodi, il colonnello Lorenzo Urso, ha salutato le donne e gli uomini dei due plotoni in partenza per il teatro libanese, nell’ambito della missione Leonte XXXI sotto l’egida dell’Onu. La sua è una presa di posizione nel solco della missione di Bergoglio. «Come ha spesso ripetuto papa Francesco – sottolinea Seccia – i corridoi umanitari sono un segno concreto di impegno per la pace e per la vita. Il traffico di migranti è un’attività ignobile, una vergogna che si consuma sotto gli occhi delle società che si dicono civilizzate». Sin dall’inizio del pontificato Francesco ha denunciato con forza la piaga della tratta di esseri umani, definendola «la schiavitù più estesa in questo ventunesimo secolo e che riguarda ogni Paese, anche i più sviluppati, e tocca le persone più vulnerabili». «Il Salento – evidenzia Seccia – è terra di frontiera e quindi di accoglienza, una porta d’Europa, da qui deve risuonare un messaggio di umanità. Alla Chiesa e alle comunità locali, come anche alle istituzioni, il compito di organizzare la speranza di queste persone e di queste famiglie che fuggono dalle loro terre e dalla disperazione». Le parole del pastore della diocesi leccese risuonano fanno eco all’operazione che ha fatto scattare 47 arresti (22 in Italia e 25 disposti dall’autorità giudiziaria albanese) nell’ambito dell’inchiesta “Astrolabio” condotta dalla Dda e dalla guardia di finanza di Lecce attraverso il coordinamento di Eurojust e la formazione di una squadra investigativa comune tra l’Antimafia di Lecce, la procura generale della Corte di Appello di Atene e la procura speciale Anticorruzione e criminalità organizzata di Tirana, oltre a Europol, l’ufficio europeo di polizia. La task force internazionale ha smantellato un’organizzazione che lucrava sulla pelle dei migranti. Che raggiungevano la Turchia e da lì intraprendevano il viaggio verso l’Europea lungo due direttrici: via mare, con partenza delle imbarcazioni dalla costa turca, ovvero, dopo aver raggiunto i rispettivi paesi, dalla Grecia e dall’Albania. Oppure attraverso la rotta balcanica. Approdavano sulle coste salentine e da qui venivano smistati verso altri paesi europei. Le indagini sono partite dallo sbarco del 23 aprile 2020 a San Cataldo, quando le fiamme gialle intercettarono un gommone che tentava di rientrare in Albania. L’inchiesta ha messo in luce 30 sbarchi, il 70 per cento sulle coste salentine, con un traffico di 1120 migranti irregolari. Sono stati identificati 26 scafisti, 8 sono stati arrestati in flagranza di reato (3 in Italia e 5 in Albania), e 52 persone risultano indagate. Il Salento era il crocevia del business.










