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Cronaca Puglia

Le carceri e le sorti degli ultimi – L’EDITORIALE

Anche il carcere di Trani scoppia. Dopo quello di Lecce che «ospita» – mi si perdoni la parola – 1403 detenuti su una capienza di 798; quello di Foggia, 670 reclusi a fronte di una capienza di 360; quello di Brindisi, 230 presenze per 152 letti; o quello di Taranto, 500 posti letto per 797 detenuti. A Lucera e San Severo siamo ben oltre il doppio dei detenuti. Scoppiano. Questa è la parola corretta. Senza esagerazioni.

Quanto vogliamo continuare ad ignorare questa devastante fotografia? Dal caldo nei nostri salotti vogliamo provare a preoccuparci del fatto che chi ha sbagliato deve solo pagare il debito con la società, non essere crocifisso?

Di certo, quando si parla di carceri il pericolo di una retorica pelosa è dietro l’angolo. Ma qui, non si tratta di innalzare le insegne dell’esercito della salvezza, qui si tratta del rispetto del dettato costituzionale e delle funzioni dello Stato. E hanno colpito diritto allo stomaco le parole, di qualche giorno fa, di uomini dello Stato, come Ruggero Damato, segretario regionale del sindacato di polizia penitenziaria che ha detto: «Il carcere di Lecce è una vera e propria discarica umana». Si, il dirigente sindacale ha usato proprio queste parole. E ne ha specificato il senso: i detenuti sono ammassati come sacchi e in una situazione di totale promiscuità. Che in carcere sappiamo bene tutti cosa voglia dire. «Una bomba ad orologeria», ha spiegato, in cui gli agenti di polizia penitenziaria «sono i nuovi schiavi di Stato», lasciati in balia di detenuti sempre più violenti. Per quanto tempo, allora, vogliamo continuare a girare la testa dall’altra parte.

Pensate ai giovani, che magari hanno commesso reati minori, come ne usciranno? E quanta rabbia si porteranno addosso.

La nostra Costituzione, in merito, è chiara. All’art. 27 recita: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». In sintesi, l’articolo sancisce la dignità dell’individuo anche nel contesto penale. Viene da chiedersi, allora, in quelle carceri dove i detenuti sono ammassati come carne umana, quale dignità dell’individuo preserva lo Stato? La direttrice della casa circondariale di Lecce ha spiegato che circa 600 «degli attuali detenuti potrebbero godere di misure alternative alla detenzione».

E perchè allora non si procede? Delle due l’una: o si depenalizzano i reati minori, ma la destra sale sulle barricate; o si costruiscono nuove e moderne carceri. Tertium non datur. Intanto in questa situazione esplosiva e di assoluta emergenza, arriva la volontà della sindaca di Lecce, Adriana Poli Bortone, di coinvolgere i detenuti in un progetto per la realizzazione di un bel presepe vivente per il santo Natale.

E il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, stanzia 4 milioni e mezzo di euro per la formazione professionale dei detenuti – terreno già battuto dal viceministro Sisto – per apprendere una professione: nella produzione di libri tattili, nonché in laboratori di panificazione, pasticceria, pizzeria, estetica, moda.

Apprezzabile e doveroso, ma prima non vogliamo farli vivere e scontare la pena dignitosamente? Non foss’altro che il modo in cui una società tratta le fasce più vulnerabili dei cittadini rivela il suo vero livello di democrazia e giustizia. E con tutto il rispetto, i gadget non bastano.

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