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Lavoro, parla Gigia Bucci: «Il futuro non può essere sfruttamento legalizzato» – L’INTERVISTA

Alle analisi del giorno dopo, seguono le riflessioni su un esito che si immaginava diverso, almeno nei numeri, almeno in Puglia. Gigia Bucci, segretaria regionale Cgil, prova a sintetizzare una meditazione sui referendum e sul futuro dei lavoratori dopo l’8 e 9 giugno. Segretaria da dove si riparte e c'è una lezione di cui fare…
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Alle analisi del giorno dopo, seguono le riflessioni su un esito che si immaginava diverso, almeno nei numeri, almeno in Puglia. Gigia Bucci, segretaria regionale Cgil, prova a sintetizzare una meditazione sui referendum e sul futuro dei lavoratori dopo l’8 e 9 giugno.

Segretaria da dove si riparte e c’è una lezione di cui fare tesoro?

«Proseguiamo sulla stessa strada, quella della rappresentanza del lavoro e di chi un lavoro lo cerca, contrastando precarietà e bassi salari attraverso gli strumenti della contrattazione e quando serve della mobilitazione, oltre che della proposta e del confronto con le controparti datoriali e istituzionali. La lezione è che abbiamo necessità di risvegliare nelle persone forme di politicizzazione nel senso più alto del termine, spiegare che solo attraverso il protagonismo si può essere parte attiva di un cambiamento. Oggi prevale sfiducia e disillusione verso la partecipazione, e questa è una spia da non sottovalutare, un malessere della democrazia».

Landini ha praticamente scelto la Puglia per chiudere la campagna referendaria, ma i pugliesi sono rimasti apatici al richiamo delle urne, segnando una partecipazione al voto inferiore alla media nazionale. Delusa dall’esito delle urne?

«Noi puntavamo al quorum, pur sapendo delle difficoltà connesse alla bassa partecipazione oramai strutturale. Il tema della disillusione rispetto all’utilità del voto si avverte con più forza al Sud, tra chi vive maggiori condizioni di marginalità sociale, e quindi anche in Puglia. A questa disaffezione contribuisce anche l’arretramento dello Stato rispetto a servizi pubblici essenziali – che siano le scuole piuttosto che i presidi sanitari. Bisogna dare risposte ai bisogni materiali, non scoraggiarsi ma continuare a parlare. Non siamo riusciti a smuovere la maggioranza dei cittadini, ne prendiamo atto ma consideriamo questa esperienza importante e un investimento per le sfide future».

Perché non si è riusciti a convincere i pugliesi a votare? Quesiti troppo ideologizzati? Temi fondamentali per il futuro lavorativo, specie dei giovani, impastati in troppa burocrazia? O difficoltà della Cgil a intercettare la volontà popolare?

«Si leggono commenti singolari rispetto al voto. Qualcuno forse pensa che le persone siano stupide, non in grado di comprendere quesiti che al di là dei tecnicismi normativi avevano obiettivi chiari: reintegro in caso di licenziamento illegittimo, un freno ai contratti a termine, responsabilità in solido sulla sicurezza nei subappalti. Per qualcuno chiamare gli italiani ad esprimersi su queste materie è inappropriato: parliamo di un istituto di democrazia previsto dalla Costituzione. Mentre dovremmo tutti avvertire il vulnus di una così bassa partecipazione, alcuni provano fastidio per la democrazia attiva. E ministri che hanno invitato all’astensione poi lamentano i costi a fronte di una bassa risposta degli elettori. Ci trovo tanta ipocrisia e anche un’idea molto elitaria della rappresentanza».

Cosa teme di più per il futuro dei lavoratori, soprattutto del Mezzogiorno, dopo l’esito del referendum?

«Il precariato è tema geograficamente trasversale nel Paese, solo un rapporto di lavoro su dieci che si attiva in Italia è stabile. Ma al Sud e in Puglia prevale – per la struttura economica – un lavoro più discontinuo e meno qualificato, e questo si abbatte sui salari e quindi sui consumi. I referendum non risolvevano tutto, ma andate a dirlo alle oltre 200mila persone che qui hanno in essere contratti a termine, un terzo di loro in questa condizione da oltre cinque anni. Provate a chiedere come si vive questo eterno precariato, arrivare alla scadenza e non sapere se il giorno dopo si avrà ancora un’occupazione. Quanto potere contrattuale di poter esigere rispetto delle norme sulla sicurezza o anche solo dell’istituto contrattuale. E mentre si agitano paure sociali rispetto agli stranieri, il tema vero sono i tanti giovani e non solo che emigrano dall’Italia, che scappano da questo lavoro povero e non dignitoso».

A proposito di giovani in fuga. Il Pnrr pare non aver sortito gli effetti sperati e i sui fondi di coesione si arranca. Siamo praticamente alla vigilia della campagna elettorale per le regionali. Quali sono le sfide d’affrontare da qui al termine della prossima consiliatura?

«Il rischio di una desertificazione sociale è serio, ma non per tutti, almeno per chi pensa che parlare di lavoro dignitoso e ben retribuito sia guardare al passato. Se il futuro è uno sfruttamento legalizzato, il precariato a vita, rassegniamoci al declino del Paese, non solo del Mezzogiorno. Il Pnrr al Sud sta intervenendo soprattutto sul versante infrastrutturale. È saltato il vincolo delle risorse destinate al Mezzogiorno, così come quello per le assunzioni di giovani e donne. Sui fondi di coesione non serve ricordare come il Governo e Fitto abbiano penalizzato la Puglia, ultima regione a firmare gli accordi. L’emergenza è affrontare le crisi produttive e le povertà emergenti. Un’agenzia per l’attrazione di investimenti privati, istituzione di un libretto formativo e una banca dati delle competenze, un protocollo sugli appalti che tuteli salario e sicurezza alcune delle nostre proposte. Fino all’ultimo giorno utile si può lavorare, evitiamo il clima da campagna elettorale libera tutti».

Resta aperta la questione di Taranto. Che soluzione immagina per lo stabilimento siderurgico?

«Lo Stato ha speso e spende ingenti risorse per garantire la produzione. Ma se diciamo che asset economici strategici come l’acciaio, o le telecomunicazioni, dovrebbero avere un controllo pubblico diretto, parlano di Soviet. Peccato l’abbiano fatto pure il Germania o Gran Bretagna. Noi crediamo che lasciar fare al mercato, al privato, ha portato alla situazione attuale. Il Governo dica quali risorse ci sono per la transizione energetica, per un processo di ammodernamento degli impianti. Difenda l’occupazione, diretta e indiretta. Eviti lo spacchettamento del sito. Serve chiarezza verso migliaia di lavoratori e un territorio che ha pagato già un prezzo alto in termini ambientali e sociali».

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