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L’arte dei presepi in Puglia, Nigro: «Non opere museali ma uno specchio del presente» – L’INTERVISTA

Con lo scrittore e giornalista Raffaele Nigro vogliamo ripercorrere dalle origini la storia dell’arte del presepe in Puglia, fino ai giorni nostri. Da dove parte questo vero e proprio filone della storia dell’arte? «Le origini vanno cercate lontano, sicuramente nella grande pittura toscana e veneziana. Tavole di autori come Lippi, dedicate ai Magi e alla…
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Con lo scrittore e giornalista Raffaele Nigro vogliamo ripercorrere dalle origini la storia dell’arte del presepe in Puglia, fino ai giorni nostri.

Da dove parte questo vero e proprio filone della storia dell’arte?

«Le origini vanno cercate lontano, sicuramente nella grande pittura toscana e veneziana. Tavole di autori come Lippi, dedicate ai Magi e alla Natività, circolavano lungo tutto l’Adriatico e furono osservate, studiate, assimilate anche dagli artisti pugliesi. Non dimentichiamo che nelle nostre chiese sono presenti molte opere di matrice veneziana. Ma la vera peculiarità pugliese sta nel passaggio dalla pittura alla scultura: qui si sceglie presto il tridimensionale. Così nascono presepi diffusi in tutto il territorio, una tradizione straordinaria che, a mio avviso, ha preceduto o almeno affiancato in modo decisivo quella di altre regioni del Sud, contribuendo poi allo sviluppo dei grandi presepi settecenteschi napoletani».

Quali sono gli autori che meglio rappresentano questa stagione?

«Ne potremmo citare molti. Penso a Stefano da Putignano, ad Altobello Persio, ai fratelli Giulio e Domizio Persio, ma anche a Paolo da Cassano e a diversi artisti salentini. È una pattuglia ricca e articolata, diffusa in tutta la regione. Questa continuità ha generato una vera trasmissione di saperi, che arriva fino alla tradizione contemporanea dei presepi viventi. Certo, l’archetipo resta quello di Greccio, in provincia di Rieti, ma in Puglia questi artisti sono stati autentici progenitori di una pratica oggi diffusissima».

Il presepe vivente ne rappresenta quindi la naturale evoluzione?

«Direi di sì. È come se la materia avesse voluto tornare carne. Dai gruppi scultorei si passa ai corpi reali, alle comunità che si mettono in scena. Pensiamo al grande presepe vivente di Tricase, che coinvolge fino a quattro o cinquecento figuranti: è un’opera collettiva, figlia di una lunga sedimentazione culturale. Non è folklore improvvisato, ma il risultato di secoli di immaginario condiviso».

Accanto ai presepi viventi c’è la tradizione della statuaria e della cartapesta. Che ruolo hanno centri come Lecce e Grottaglie?

«Lecce è stato per secoli un grande mercato della statuaria ecclesiastica, soprattutto in cartapesta, mentre in centri come Putignano, Rutigliano e Grottaglie si è sviluppata una statuaria più laica: pupi, figure ironiche, beffarde, come quelle dei fratelli Loglisci. Siamo arrivati più tardi rispetto a Napoli nel mercato delle statuine da presepe, ma oggi finalmente si riscopre anche da noi questa dimensione minuta, artigianale, che dialoga con la contemporaneità».

In che senso il presepe dialoga con il presente?

«Basta guardare cosa accade a Napoli da anni: nei presepi entrano personaggi della cronaca, della politica, della vita quotidiana. Questo sta iniziando ad accadere anche in Puglia. Ho visto statuine che raffigurano figure riconoscibili della nostra vita pubblica, come Antonio Decaro, Michele Emiliano, Nichi Vendola. È un segno importante: il presepe non è un oggetto museale, ma uno specchio del tempo in cui vive».

Veniamo a Raffaele Spizzico, di cui lei ha scritto in passato, il cui «Presepe Arcaico» è stato esposto oggi nella Sala del Colonnato del Palazzo della Città Metropolitana di Bari: che posto occupa nella storia del presepe pugliese?

«Spizzico è stato un autore originalissimo. Il suo presepe nasce da un dialogo con la pittura vascolare proto-italica e con le culture dei Peuceti, degli Iapigi, dei magnogreci. Questa ispirazione geometrica e arcaica si riflette nei pupi che realizzò e che poi donò al Comune di Bari. Ricordo il grande presepe allestito al Fortino sul lungomare, che attirò un pubblico vastissimo. Mi auguro che anche l’esposizione inaugurata oggi possa avere lo stesso successo. Soprattutto mi spero che questo evento possa ridare voce all’arte e farla uscire dal silenzio e dalla disattenzione in cui è caduta negli ultimi anni».

Questo silenzio riguarda l’arte del presepe, nonostante tutta la sua storia?

«Riguarda l’arte nel suo complesso. Ne ho scritto anche nel mio romanzo Il dono dell’amore: le gallerie d’arte sono scomparse, assistiamo a una lenta moria della pittura. Se poesia e narrativa resistono, pur tra difficoltà, per le arti visive c’è una disattenzione grave e persistente. Ed è un tema che merita di essere affrontato con urgenza».

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