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La task force dei flop: nel 2023 sono 40 le crisi aperte in Puglia che coinvolgono 6.200 lavoratori

Gli effetti a lungo raggio del Covid e la guerra russo-ucraina insieme alla spirale inflazionistica, hanno aggravato lo stato di salute dell’economia pugliese. A dispetto dei numeri positivi relativi ai lavoratori collocati, a preoccupare è il report annuale della task force per l’occupazione della Regione Puglia. Uno strumento nato per risolvere le crisi aziendali, ma…

Gli effetti a lungo raggio del Covid e la guerra russo-ucraina insieme alla spirale inflazionistica, hanno aggravato lo stato di salute dell’economia pugliese.

A dispetto dei numeri positivi relativi ai lavoratori collocati, a preoccupare è il report annuale della task force per l’occupazione della Regione Puglia. Uno strumento nato per risolvere le crisi aziendali, ma che in realtà da anni risolve poco o nulla abbandonando al loro destino fior di attività e stabilimenti. Basti pensare che nel 2023 la Puglia conta circa una quarantina di crisi aperte. Erano una cinquantina lo scorso anno, ma con un numero di esuberi, quasi licenziamenti o cassa integrazione schizzato di 1200 unità, da 5 mila a 6200 lavoratori coinvolti molti dei quali salvi temporaneamente solo grazie agli ammortizzatori sociali.

Interi comparti stanno letteralmente scomparendo, a partire dal Tac, il tessile abbigliamento e calzaturiero con la scomparsa dei tre colossi storici presenti sul nostro territorio. A partire dalla Albini di Mottola con oltre 100 operai rimasti a terra, la Tessiture Salento-Canepo costretta a riconvertirsi in ditta di confezioni per mascherine e capi spalla ricollocando parte della forza lavoro, 70 su 112. Costretta a cambiare settore anche la storica Miroglio di Ginosa che ha mantenuto solo 111 lavoratori nello stabilimento principale e 25 dirottati su Castellaneta.

In coma profondo anche la zona industriale di Taranto, una delle aree di crisi complesse anche a causa del ritardo con cui stanno partendo le bonifiche ambientali e la promessa decarbonizzazione.

Appesi ad una flebile fiammella di speranza una sfilza di cassintegrati che per ora non hanno futuro. In particolare 1500 operai ex Ilva, frutto di una lunga avvertenza avviata nel 2018 ed altri 2500 dipendenti di Acciaierie Italia. Spiccano, fra le altre, le spinose vertenze di Natuzzi Salotti che ha annunciato 750 esuberi, ma sta provando a scongiurarli riportando in Puglia alcuni asset di produzioni esportati in Romania. Stesso discorso per la storica Bosch di Bari che rischia di sparire dopo il pensionamento del diesel annunciato per il 2035. In totale sono 650 i licenziamenti in rampa di lancio congelati sono grazie ad un accordo con il Ministero per il lavoro, l’azienda ed i sindacati, in cui si prevede di mantenere l’attuale organico fino al 2027.

Senza speranze, invece, la G and W elettric di Foggia con 114 lavoratori già finiti in mezzo alla strada, 223 che stanno per fare la stessa fine della Network Contact di Molfetta, 196 per la Italian Leader.

Dulcis in fundo il vero e proprio scandalo della “Baritech” della zona industriale di Bari.

In attesa di un cavaliere bianco la task force regionale diretta da Leo Caroli ha bruciato un anno in inutili incontri e rinvii di tavoli di concertazione.

Nel frattempo i proprietari del capannone Baritech hanno fatto da soli realizzando quelle vendite “spezzatino” che distruggono posti di lavoro e il presente di intere famiglie, ma consentono affari d’oro alla più bieca speculazione.

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