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La sfida degli studenti “gifted” o plusdotati: la scuola cambia passo

Niccolò (nome di fantasia) ha sette anni, legge fluentemente da quando ne aveva due e mezzo, calcola da solo le tabelline e si sta appassionando ai numeri negativi. I suoi compagni di classe invece si dedicano ad addizioni e sottrazioni entro il numero 20. Ha uno spiccato senso dell’umorismo, un concetto di giustizia inflessibile e non riesce a stare fermo nel banco quando si annoia. Questo bimbo è solo uno dei tanti «gifted» o plusdotati che quotidianamente si confrontano con bisogni educativi speciali: non solo intelligente ma curioso, sensibile, «veloce» in alcuni campi e sicuramente divergente.

Il disegno di legge 180

Nel 2025, la scuola italiana si trova davanti a una svolta epocale. L’approvazione in Senato, lo scorso ottobre, del disegno di legge 180 sugli studenti ad alto potenziale cognitivo (Apc) apre finalmente la strada a un riconoscimento normativo atteso da anni. Ma oltre la legge, c’è una riflessione più profonda da compiere: i bambini «gifted» non sono solo piccoli geni (considerando che il loro quoziente intellettivo supera il punteggio di 120 o 130, a fronte del circa 100 nei normodotati), ma ragazzi che, come molti altri con profili neurodivergenti, rischiano di soffrire in un contesto educativo che premia l’omologazione e scoraggia la differenza. Si stima che in ogni classe ci sia almeno uno studente plusdotato, con una percentuale pari al 5% dell’intera popolazione scolastica.

Lara Milan, autrice del libro «Plusdotazione e talento. Cosa fare e non» (Erickson, 2023), avverte che «la giftedness non deve essere confusa con il modo in cui viene misurata, in quanto il Quoziente Intellettivo (QI) è solo uno dei parametri per identificare un soggetto plusdotato. Il QI non è la giftedness ma solo un fattore che indica che la giftedness può esistere. In sostanza, il ragazzo plusdotato non solo ha un’intelligenza quantitativamente diversa ma anche qualitativamente una modalità di funzionamento differente, che si contraddistingue per la capacità di pensare in modo divergente e creativo, risolvere problemi complessi, pensare in maniera astratta, apprendere rapidamente processando una grande mole di dati e di farlo più velocemente degli altri».

I miti da sfatare

Per troppo tempo, la plusdotazione è rimasta un tema marginale nel dibattito educativo. In un sistema che parla di inclusione ma spesso confonde l’uguaglianza con l’appiattimento, gli studenti ad alto potenziale si trovano a volte sospesi: troppo capaci per essere considerati fragili, troppo complessi per essere capiti davvero. La loro mente corre veloce, ma il mondo intorno procede lento. E così, dietro il mito del «bambino geniale», si possono nascondere spesso solitudine, disadattamento, noia e, nei casi più gravi, disagio psicologico.

Il disegno di legge – ora all’esame della Camera – introduce strumenti concreti: un piano triennale di formazione per docenti e dirigenti, un referente Apc in ogni scuola e la valorizzazione della plusdotazione nei percorsi universitari di area educativa. È un passo avanti importante, perché mette al centro la preparazione degli insegnanti, veri mediatori del talento. Riconoscere un ragazzo plusdotato, infatti, non significa solo saperne misurare il quoziente intellettivo, ma comprendere le sue emozioni, i suoi interessi, i suoi bisogni relazionali.

Il testo punta a modellare ancora di più la scuola in un luogo di stimolo e accoglienza, dove la diversità cognitiva diventi una risorsa e non un problema da gestire. Non una scuola che «premia i migliori», ma una scuola che coltiva le unicità di ciascuno, promuovendo una crescita equilibrata.

La Puglia

In Puglia il IV Circolo Didattico Beltrani di Trani è attualmente la scuola capofila della rete nazionale TalentInclusivi, che ha come oggetto la promozione di attività didattiche, di ricerca, sperimentazione metodologica e sviluppo organizzativo, di formazione e aggiornamento del personale scolastico sulla tematica della didattica per la plusdotazione e della didattica per lo sviluppo dei talenti.
Per riuscirci, servirà però un cambio di mentalità: la plusdotazione non può essere trattata come un’eccezione o come un privilegio, ma come una forma di neurodivergenza da accompagnare con empatia e competenza.

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