A mezzanotte di stasera la campagna elettorale potrà dirsi conclusa. Come è andata e che idea si saranno fatti gli elettori? Lo sapremo dalle urne.
È certamente stata una campagna elettorale complessa più delle altre. Con un risultato ampiamente annunciato, ma che alla fine potrebbe riservare anche delle sorprese.
Complicata perché il Campo Largo – testardamente unito – ha poi rivelato tutte le sue crepe. L’inspiegabile niet del candidato presidente, Antonio Decaro, che, solo nelle battute finali, ha tentato una ricucitura – forse di facciata – con i due governatori uscenti Emiliano e Vendola a proposito della loro candidatura, ha lasciato perplessi, tanto che per lungo tempo si è pensato ad un gioco delle parti.
Quel “diverso da voi”, mai dichiarato esplicitamente, e camuffato da emancipazione filiale, è stato preso bene solo dalla parte più radicale di quell’area. La sinistra, in campagna elettorale, cerca unità, vuole un sogno, vuole credere in un mondo migliore ed è pronta a dimenticare persino le delusioni di suoi epigoni.
Scopriremo solo nelle urne se – il pragmatico ingegnere che non sa scaldare i cuori e che non promette, ma realizza e studia – avrà saputo convincere tutto il suo elettorato. Lo stesso ingegnere stimato dentro e fuori l’Italia che sembrava mirare alla poltrona di segretario nazionale del partito, irretito dalle sirene interne – questione solo accantonata fino al termine della tornata elettorale – e quasi autistico politicamente verso le gerarchie di partito e peronisticamente collegato solo con la sua “gente”.
Dall’altra parte, si è assistito ad un balletto di nomi che avrebbe tolto ogni entusiasmo anche al più fanatico dei sostenitori. Giorni e giorni di attesa, mentre il candidato dall’altra parte, macinava chilometri su chilometri, stringeva mani, baciava mamme. Una sconfitta annunciata.
Poi, il nome venuto fuori dal cilindro, Luigi Lobuono, candidato “per bene” come il suo stesso avversario ha riconosciuto, ha cominciato con pazienza ad incontrare persone, a confrontarsi con i bisogni, a scavare nelle pieghe del non fatto. Con un atout: il collegamento con il governo nazionale che, in Puglia e a Bari, specialmente, ha sempre giocato favorevolmente nelle urne.
Questa volta, però, è sembrato davvero che ai pugliesi si volesse offrire di tutto, di più e per giunta come un dono ciò che avrebbero sempre dovuto avere per diritto: acqua (Locone), lavoro (ex Ilva), salute (ancora ex Ilva e Cerano) e persino ristori bancari di cui probabilmente non si vedrà più traccia passata la tornata elettorale.
Il percorso è inciampato anche nelle inevitabili inchieste della magistratura: a destra e a manca. Candidati, i cui processi andranno a compimento e sui quali quindi non è possibile esprimersi, ma che hanno dato l’idea se non di un inquinamento vero e proprio del voto (il prezzo per acquistarlo è ribassato alla metà dalla scorsa tornata elettorale, vista la povertà in aumento) di un disfacimento della tenuta sociale e della fiducia nella politica in generale. I cambi di campo perpetui hanno alimentato questa scarsa credibilità.
E qui veniamo alla vera nota dolente: l’astensionismo. I risultati nelle altre regioni dove si è votato sono agghiaccianti. Quasi la metà dell’elettorato resta a casa, così chi governa un popolo intero ha trovato riscontro solo in una minoranza nella minoranza. Cioè quasi nulla. E quel che è peggio sembra non rendersene conto. E nemmeno l’appello dei vescovi potrebbe essere sufficiente. A volte l’appello al sentimento, all’emozione, può smuovere i cuori.
Questa volta il pathos è mancato in favore del fair play. Non resta che aspettare, allora, l’esito e sperare che i pugliesi, ancora una volta, passino sopra a quanto la politica gli ha fatto vedere, almeno nelle fasi iniziali, rispolverando il loro senso di responsabilità. Ancora una volta.