La Puglia, come tutto il Mezzogiorno, vive una condizione complessa: segnali incoraggianti convivono con fragilità profonde. Il rapporto Svimez conferma che c’è spinta, ma dietro i numeri quotidianamente molti affrontano precarietà, sacrifici e partenze. Tra il 2021 e il 2024, il Mezzogiorno ha registrato un aumento dell’occupazione dell’8 per cento, con quasi 500mila nuovi posti di lavoro, oltre un terzo del totale italiano. Tuttavia, questo boom occupazionale non ha migliorato la qualità della vita né le prospettive per i giovani. Salari bassi e un’industria debole alimentano l’esodo dei talenti, accentuando la contraddizione: resilienza apparente, fragilità reale.
La sfida demografica
Svimez evidenzia differenze provinciali nella presenza di immigrati di lungo periodo, potenziali beneficiari di una riforma della cittadinanza, un possibile antidoto allo spopolamento: Bari: 15.851, seguita da Lecce: 7.695, poi Foggia: 5.280, Brindisi: 3.647 e Taranto: 3.303.
L’immigrazione può aiutare, ma senza lavoro stabile, servizi e opportunità reali, l’effetto resta limitato. Il grido di allarme della Cgil Puglia.
Secondo Gigia Bucci, segretaria regionale della Cgil Puglia, la regione convive con «criticità note»: imprese poco evolute e settori a bassa specializzazione producono «lavoro povero» e spingono i giovani a partire. Tra il 2019 e il 2023, quasi 19mila laureati under 34 hanno lasciato la Puglia, con un esodo drammatico di talenti. Bucci sottolinea la necessità di investimenti mirati in filiere strategiche, welfare, politica industriale e transizione energetica: senza questi elementi, la crescita resta vana. Dignità del lavoro e prospettive per i giovani sono la vera chiave per trattenere competenze e restituire futuro al Sud.
Un bivio aperto
La Puglia mostra margini di resilienza: investimenti pubblici, infrastrutture e il Pnrr possono dare impulso reale. L’immigrazione, se gestita bene, può contribuire a invertire trend demografici critici.
Il rischio, però, è che la ripresa rimanga superficiale. Lavoro povero, salari in calo, assenza di filiere moderne e poche prospettive pesano sul futuro. Per cambiare, servono scelte coraggiose: una politica industriale coerente, innovazione, specializzazione e settori ad alto valore aggiunto. Occorre garantire lavoro dignitoso, trasformando la permanenza in una scelta concreta e non in una rinuncia.
Le parole del direttore di Svimez, Luca Bianchi, a sottolineare i pericoli che attendono il Mezzogiorno – nonostante i numeri recenti -che spiegano «la qualità della crescita e dell’occupazione» resta il nodo decisivo: «I salari al Sud sono oggi più bassi dell’8 per cento rispetto a 10 anni fa» e il tasso di occupazione femminile «è ancora intorno al 30 per cento, il più basso d’Europa».
Bianchi avverte che la sospensione di misure come la decontribuzione al Sud – che da sola valeva 5,9 miliardi di euro per il 2025 – rende il futuro incerto. Sul Mezzogiorno eregioni come la Puglia, Bianchi solleva un allarme reale: senza politiche industriali serie, infrastrutture adeguate, servizi e sostegno agli investimenti, la crescita resta fragile e il rischio di un «ritorno alla normalità» di stagnazione diventa concreto.