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La campagna elettorale fra epurazioni, elettorato e poltrone – L’EDITORIALE

Che brutta stagione elettorale stiamo vivendo. Forse una delle peggiori degli ultimi anni. Per due ragioni. Da una parte uno spettacolo inspiegabile, sotto il profilo politico, cominciato con i divieti pubblici di candidatura degli ex presidenti di Regione, Michele Emiliano e Nichi Vendola, da parte del nuovo candidato governatore del Campo Largo, Antonio Decaro, che…
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Che brutta stagione elettorale stiamo vivendo. Forse una delle peggiori degli ultimi anni. Per due ragioni.

Da una parte uno spettacolo inspiegabile, sotto il profilo politico, cominciato con i divieti pubblici di candidatura degli ex presidenti di Regione, Michele Emiliano e Nichi Vendola, da parte del nuovo candidato governatore del Campo Largo, Antonio Decaro, che con i due ha condiviso onori e carriera.

Posizione che ha definitivamente archiviato il sogno della «Primavera pugliese» a lungo coltivato nei cuori di una parte dell’elettorato e incarnato dai tre. Un sogno che parlava di rinascita e che aveva richiamato tanti giovani in Puglia pronti ad impegnarsi per il cambiamento ed a ritrovare quella passione politica che mancava da tempo. Chi se li dimentica i treni pieni di ragazzi che ritornavano dalle università del Nord per votare e venivano attesi alla stazione dai coetanei che avevano scelto di restare. Lo spirito era quello dell’io collettivo, non personale. L’avversario fuori, non dentro. La personalizzazione della politica, introdotta dal berlusconismo, tenuta fuori dalla porta. E quel fermento, dal Gargano al Capo di Leuca poteva dirsi quasi palpabile.

Così, era inimmaginabile che i due campioni della Primavera – pur colpevoli di molti errori – venissero sbattuti fuori dall’agone politico dalla cocciuta determinazione di quello che era considerato il naturale erede di quella stagione. Nessun fair play politico. Tolleranza zero.

I visi tirati, sul palco dell’investitura a candidato governatore di Decaro, hanno raccontato – più di mille parole – di uno scontro feroce, ancor prima che gli attori sul palco aprissero bocca fra sorrisi tirati. Da lì, un capitombolo dietro l’altro: Vendola che non accetta il diktat e va dritto per la sua strada, ma ognuno a casa sua; e senza offrire più quell’eloquio che sa suscitare emozioni e che salvò, dal palco, persino la riconferma a presidente di Emiliano, nella scorsa tornata. Emiliano, offeso, che si ritira sull’Aventino preparando una ovvia rivincita.

Liste al veleno, divieti anche li, finte epurazioni che escono dalla porta per rientrare dalla finestra con il sottobosco dei portaborse, ed epurazioni vere – dal Pd – in una guerra di posizioni e di azioni dolose per indebolire persino l’elezione del segretario regionale del partito nella Bat. Comparsa di manifesti illegali in cui si grida «allo straniero» e ricorso alla Digos.

Quando si arriva a questo punto, la politica è morta e si entra solo nel campo della bassa cucina. Dove tutto è un gioco di blocchi contrapposti e spazi da occupare, non di ideali. Per cui saltare da un campo all’altro appare addirittura legittimo.

Cosa si ricorderà di questa campagna elettorale che, diciamocela tutta, non scalda certo i cuori?

Se Atene piange, Sparta non ride. L’epurazione avvenuta a carico di Raffaella Casamassima di Fratelli d’Italia, stimata avvocata, prima inserita in lista con tanto di comitato elettorale già aperto ed inaugurato e poi fatta schizzar via all’ultimo minuto utile, grida vendetta. Per il modo in cui è avvenuta. Per la violenza dello sgarbo subito. Per riequilibri – si è detto – fra l’area che si riconosce ancora in Raffaele Fitto e quella emergente vicina a Gemmato.

Ora, nessuno si meraviglia di nulla in politica, ma un tempo vi era del garbo in queste operazioni: si chiedeva un passo indietro subito, per offrire altro dopo. E il sacrificio si faceva anche volentieri, magari. Ma questa violenza dell’agire politico, assomiglia ad una barbarie elettorale, come la stessa candidata denuncia.

Alla luce di tutto questo e di una politica che non fa più sognare, cosa resta nel piatto? Astensionismo crescente.

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