Una vecchia vicenda che riguarda il «contrasto» tra articolazioni diverse della ricerca archeologica, come Soprintendenze e Università, torna ad affacciarsi con una polemica che scoppia proprio in Puglia. Il soprintendente all’Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Brindisi, Lecce e Taranto, Antonio Zunno, ha emanato un controverso atto di indirizzo che impone agli archeologi universitari di sottoporre le informazioni sulle attività di scavo destinate ai media, al controllo preventivo della istituzione da lui presieduta. Questi ultimi potrebbero persino cassare contenuti ritenuti non opportuni. In caso di inadempienza, la concessione dello scavo in questione potrebbe addirittura essere ritirata.
Il provvedimento
Una disposizione che, secondo Zunno, serve a tutelare l’integrità dei siti da eventuali «saccheggi», ma l’indicazione ha provocato la piccata risposta degli accademici pugliesi in una lettera della giunta della Federazione delle Consulte universitarie di archeologia, presieduta da Giuliano Volpe: «Colpisce nel testo della Soprintendenza la velata accusa nei confronti dei concessionari universitari di essere quasi degli oggettivi alleati degli scavatori clandestini, come se con l’attività di comunicazione pubblica informassero questi ultimi della presenza di un sito archeologico».
La contestazione
«Chiunque conosca il drammatico problema dello scavo clandestino – prosegue la lettera – sa bene che chi svolge tale azione illegale non ha certo bisogno di un articolo su un quotidiano o di un post su Facebook per conoscere un sito archeologico e che al contrario proprio un’attiva azione di comunicazione e sensibilizzazione della pubblica opinione, oltre a costituire un dovere etico, rappresenta lo strumento migliore di contrasto attraverso la crescita della tutela sociale».
In sostanza, i cittadini consapevoli dell’importanza del patrimonio culturale, lo sentiranno come un bene proprio, da difendere contro gli attacchi dei clandestini, magari informando tempestivamente le forze dell’ordine di un blitz dei «tombaroli».
L’atto del Soprintendente appare quasi un eccesso di zelo nei confronti di una categoria come quella degli archeologi che sono già naturalmente portati alla riservatezza sulle attività di scavo. D’altra parte, come sanno i giornalisti che hanno costanti rapporti con chi fa ricerca archeologica, esiste un vincolo inviolabile a non rivelare la collocazione di un sito promettente: si parlerà delle potenzialità della scoperta ma il luogo verrà rilevato solo dopo la messe in sicurezza dei reperti.
E, comunque, i «tombaroli» conoscono già le zone dove compiere le proprie razzie: l’atto di indirizzo sembra quasi la proverbiale chiusura del recinto dopo la fuga dei buoi.










