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I pugliesi tra i più poveri d’Italia, redditi sotto i 20mila euro: «Hanno meno opportunità»

I pugliesi sono fra i più poveri d’Italia, con un reddito complessivo medio, riferito all’anno 2023, di 19.570 euro. A riferirlo è la Cgia di Mestre, l’associazione Artigiani e piccole imprese, che basa la sua stima su dati del Ministero dell'Economia e delle Finanze. Subito dopo la Puglia c’è la Calabria, con 18.230 euro di…
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I pugliesi sono fra i più poveri d’Italia, con un reddito complessivo medio, riferito all’anno 2023, di 19.570 euro. A riferirlo è la Cgia di Mestre, l’associazione Artigiani e piccole imprese, che basa la sua stima su dati del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Subito dopo la Puglia c’è la Calabria, con 18.230 euro di reddito complessivo medio dichiarato, e appena sopra gli abitanti del Molise, con 19.600 euro. Mentre il distacco fra la Puglia e la prima e più ricca in graduatoria, la Lombardia, è di quasi 10.000 euro, visto che gli abitanti di quella regione hanno un reddito medio di 29.120 euro, addirittura al di sopra del target nazionale, che è di 24.830 euro pro capite.

I dati

Nello stesso anno, secondo i dati Istat, il Prodotto interno lordo della Puglia è cresciuto, dell’1,1%, per un valore di 87,046 miliardi di euro. Numeri a cui si sommano un aumento del tasso di occupazione, progetti e investimenti delle aziende pugliesi, sempre più proiettate all’innovazione. Eppure la Puglia resta in fondo alla classifica. Dove finiscono tutte queste attestazioni di “salute” dell’economia pugliese? A spiegare questo gap è Luciana Di Bisceglie, presidente della Camera di Commercio di Bari.

Le ragioni

«Questa discrasia è la fotografia di vari fattori: la differenza di opportunità che c’è fra nord e sud, un tessuto produttivo caratterizzato, per lo più, da piccole e medie imprese, e un tasso di occupazione minore», spiega. E poi un esempio: «Si pensi all’occupazione femminile, in Italia la percentuale è del 56%, al l Sud, non solo in Puglia il dato scende al 36%».

Di Bisceglie spiega inoltre che «il dato di Cgia Mestre si riferisce quasi certamente ai lavoratori dipendenti, senza considerare le imprese e altre attività». Le componenti posso essere tante altre, per esempio anche la circostanza per cui le grandi aziende pugliesi spesso a casa hanno solo la produzione, dove lasciano anche gli stipendi più bassi, e al nord le sedi legali e gli uffici di rappresentanza.

I timori

Sullo sfondo aleggia lo spettro di un dato sfuggevole per definizione, quello della “Economia non osservata”, Eno, ovvero quello delle realtà sommerse o illegali. Insomma, le imprese che operano in nero. Stando così le cose, uno dei pericoli maggiori per l’economia pugliese è quello di un “inverno demografico”. «Le nostre imprese non riescono a pagare i giovani come loro si aspetterebbero, perchè non riescono e anche per il costo della vita, che qui rispetto al nord è differente. Ma il rischio – spiega Di Bisceglie – è che le forze migliori vadano altrove, in cerca non solo di salari più alti ma in generale di un sistema di impresa, di servizi, welfare, tempo libero e sanità migliore».

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