Otto anni fa Sara Linciano, ricercatrice di 31 anni, ha lasciato Bari e la Puglia per intraprendere un percorso di studi universitario magistrale. Dopo la seconda laurea, un dottorato di ricerca e la fondazione, insieme al suo professore e ad altre colleghe di una start up nel campo delle biotecnologie, il ritorno in Puglia appare sempre più lontano, soprattutto a causa della mancanza di prospettive lavorative adeguate al percorso di studi e alla minore competitività del territorio rispetto al Nord Italia e all’estero.
Da otto anni in Veneto, come mai ha deciso di andare via da Bari?
«Quando ho terminato il mio percorso di studi triennale a Bari in Biotecnologi mediche e farmaceutiche, volevo implementare l’interdisciplinarietà della mia formazione e a Venezia c’era un corso di laurea magistrale che mi consentiva di integrare le conoscenze che mi mancavano. In Puglia, all’Università del Salento c’era un corso simile ma quando a Venezia sono uscite le graduatorie di ammissione a Lecce doveva essere ancora pubblicato il bando per l’accesso al corso e non si sapeva se ci sarebbe stato un test di ammissione».
Dopo ha proseguito con un dottorato di ricerca. Ha mai preso in considerazione di tornare in Puglia per proseguire gli studi? O il Veneto offriva più possibilità?
«Ho scelto Venezia perché ho passato il concorso, continuando con il progetto sperimentale iniziato durante la magistrale che è poi diventato sia una parte del mio dottorato di ricerca, che l’idea di partenza per la start up che abbiamo fondato con il mio professore e altre due colleghe della Ca’ Foscari, supportate da una commercialista di Padova».
Nel suo settore lavorativo al Nord ci sono più opportunità rispetto al Sud e alla Puglia?
«Penso di si, soprattutto nell’ambito scientifico-tecnico. Sia con un semplice diploma o con una laurea triennale, che ti permette di lavorare all’interno di un laboratorio di analisi, sia con un livello formativo più alto e l’accesso a lavori più complessi. Nel mio ambito qui al Nord, oltre ad esserci più posti disponibili, le retribuzioni sono più alte: si parte da stipendi base in media di 1600-1800 euro al mese. Nonostante anche qui inizi ad esserci una crisi e le aziende non sempre sono in grado di valorizzare i lavoratori. Soprattutto quando si tratta di dottorati, dato che nel panorama italiano è un tipo di lavoro ancora poco conosciuto e apprezzato. Diciamo che, mentre al Sud spesso il dottorato di ricerca viene visto esclusivamente come una prosecuzione della carriera accademica, al Nord e all’estero è un titolo che viene preso molto in considerazione dalle aziende. C’è più possibilità di accedere a ruoli dirigenziali e di coordinamento, oltre a stipendi più allettanti. Ci sono molti più progetti di collaborazione con le aziende e noi stessi, come start up innovativa, dopo un anno e mezzo di attività, siamo riusciti a cofinanziare tre borse di dottorato di alta formazione. Condizione fondamentale per la vitalità del progetto».
Nessuna intenzione di tornare in Puglia?
«Ad oggi, per il tipo di lavoro che faccio, per le prospettive di crescita professionale e per le offerte che ricevo non penso. Vedo molto più probabile rimanere nella zona del Triveneto o andare direttamente all’estero. Non perché non voglia tornare nella mia terra che amo, ma per una questione di complessità di vita e futuro».