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Gioco d’azzardo, la psicoterapeuta: «Ludopatia? Una patologia che va curata» – L’INTERVISTA

«La ludopatia è una dipendenza patologica e come tale va curata con consapevolezza e con l’aiuto di uno specialista». Mette un punto fermo la dottoressa Ines Panessa, psicoterapeuta, psicodiagnosta ed esperta in dipendenze patologiche. Quella che comunemente viene definita “dipendenza dal gioco” è un fenomeno in preoccupante crescita, soprattutto al Sud, che affonda le radici molto più in profondità di quanto si possa pensare e le cui conseguenze possono essere davvero pericolose.

Perché proprio nei piccoli comuni la ludopatia sembra così diffusa?

«Perché in queste zone spesso si vive un forte senso di isolamento e di routine. Le occasioni di socialità e stimoli costruttivi sono limitate, e questo favorisce la noia e l’intolleranza alla frustrazione. Il gioco diventa, quindi, una forma di evasione, una compensazione immediata e accessibile, che promette un’emozione forte dove la quotidianità ne offre poche. È un modo, seppur patologico, per cercare vitalità in contesti che ne offrono poca».

Spesso si tende a sottovalutare il problema, pensando di poter smettere da soli.

«È un’illusione. Il ludopatico non riconosce il problema, crede di potersi controllare, ma in realtà è intrappolato in un circolo vizioso di falsa felicità. Si rovina economicamente e affettivamente, perché ogni vincita diventa subito l’occasione per la giocata successiva. Senza un percorso terapeutico, difficilmente se ne esce».

Qual è, allora, la strada per la guarigione?

«Il primo passo è la consapevolezza. Il soggetto deve riconoscere la dipendenza e affrontarla con l’aiuto di uno specialista. In terapia si lavora per sostituire la dipendenza insana con una sana: dallo stimolo del gioco, per esempio, si può passare allo sport o alla musica. La dipendenza non si elimina, si trasforma».

C’è anche un legame tra fragilità emotiva e rischio di cadere nel gioco?

«Sì. La fragilità nasce da una scarsa autostima e da una cattiva gestione delle emozioni. Un soggetto fragile, pur di sentirsi accettato, può facilmente cadere in meccanismi patologici. È fondamentale lavorare sull’autostima e sul valore personale, insegnare ai ragazzi a gestire la noia e il rifiuto, a costruire un equilibrio interiore sano».

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