Cercasi disperatamente cento mila lavoratori agricoli. Recita praticamente così l’appello lanciato dalla Flai Cgil pugliese che mette in fila i numeri di una vera e propria diaspora occupazionale.
Nel Tacco dello stivale si contano circa 30 mila lavoratori in meno rispetto a sei anni fa. La fuga dalle campagne viene registrata anche dall’Inps con un calo, pressoché costante, del numero di iscritti. Mentre la politica si interroga su come colmare il gap allargando le maglie dell’immigrazione, il sindacato imputa agli scarsi diritti il motivo della rinuncia di così tante persone al lavoro agricolo.
«Perché non ragioniamo su regolarizzazioni di chi è già presente in Italia, spesso da anni, di quei braccianti extracomunitari invece costretti a nascondersi nei tanti ghetti dispersi nelle campagne pugliesi?», si domanda Antonio Gagliardi, segretario generale della Flai Cgil Puglia. Per il sindacalista i motivi della fuga dal lavoro nei campi sarebbero sostanzialmente due: le paghe basse e le difficoltà nei trasporti.
«La stragrande maggioranza delle aziende agricole non hanno mai pensato di attrezzarsi autonomamente sul tema del trasporto – afferma Gagliardi -. Spesso si sono affidate, nella migliore delle ipotesi, ad agenzie di “colletti bianchi” che muovono per centinaia di chilometri la manodopera, anche fuori regione. Migliaia di braccianti che alle tre del mattino salgono sui pullman gran turismo, specie nel caso di lavoro femminile. Il costo? Dieci o quindici euro a seconda della distanza, ovviamente, decurtato dalla paga giornaliera. Sotto questo aspetto, si è sempre omesso un impegno che portasse alla definizione di una strategia di sistema tra trasporto, luogo di lavoro, retribuzione».
I dati regionali, anche distribuiti a livelli provinciali, lasciano poco spazio alle interpretazioni. In provincia di Foggia sono iscritti agli elenchi 39.855 operai (-2.055), a Bari 34.464 (-1.976), seguono Brindisi 21.018 (-1.178), Lecce 18.137 (-982), Bat 17.878 (-801) e Taranto 25.473 (-733). Il costante e corposo calo degli addetti che registriamo negli ultimi anni ha diverse ragioni: un diffuso sottosalario, l’attività ispettiva mirata a scovare i lavoratori fittizi, un forte impiego nel 2022 di manodopera agricola prestata all’edilizia dovuto al bonus 110, sono solo alcune concause facilmente individuabili.
Un calo, anche se contenuto, si registra rispetto al numero di giornate dichiarate complessivamente, pari a 15 milioni 320 mila circa (-323 mila), delle quali 3 milioni 222 mila (circa il 21% del totale) sono quelle lavorate da manodopera straniera (+128.900). «La riduzione delle giornate non in proporzione al calo degli addetti è anch’esso segno di una maggiore attenzione al concetto di lavoro regolare da parte delle attività ispettive e al fatto che molte aziende cominciano a comprendere che è svantaggioso utilizzare il sistema del caporalato agricolo», spiega Gagliardi. Non migliora la situazione se si analizza il lavoro di genere nel settore: la manodopera femminile rappresenta il 38,6% del totale degli addetti (60.669 unità); il maggiore addensamento di questa tipologia di lavoro lo riscontriamo tra le 101 e 150 giornate annue con circa 22.700 lavoratrici, segue la fascia tra 51 e 100 giornate con 15.700 lavoratrici.