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Fondale devastato per pescare datteri di mare, 35 arresti nel Nord Barese: «Danni inestimabili» – VIDEO

Dei 57 indagati dalla Procura di Trani per disastro ambientale relativamente alla pesca di datteri di mare nelle acque del Nord Barese, 35 sono stati arrestati: 25 persone sono finite in carcere e dieci agli arresti domiciliari con l’applicazione del braccialetto elettronico. Ad altre tre sono stati notificati obblighi di dimora mentre sono 11 gli indagati destinatari di divieti di dimora e di esercitare attività d’impresa.

L’inchiesta, ha spiegato il capo della Procura di Trani Renato Nitti, ha rivelato «come una attività tra le più devastanti per il fondale marino, era diventata prassi».

Le indagini sono partite due anni fa dopo un sequestro e pone domande «su una questione culturale, ovvero il consumo del dattero di mare che per essere recuperato richiede l’uso di strumenti come martelli, che danneggiano in alcuni casi irreversibilmente il fondale marittimo», ha proseguito Nitti.

Gli indagati (54 persone fisiche e tre enti) rispondono di 84 ipotesi di reato tra associazione per delinquere, danneggiamento e deturpamento di beni paesaggistici, inquinamento, disastro ambientale, minacce a pubblico ufficiale e illeciti amministrativi contestati agli enti coinvolti, ha specificato Nitti.

Nell’ambito dell’inchiesta sono stati sequestrati anche immobili in cui venivano venduti i prodotti e i natanti usati per la pesca.

«Tutti sapevano della gravità e illegalità della loro condotta», ha sottolineato il pm Francesco Tosto, che ha coordinato gli accertamenti investigativi, nel corso della conferenza stampa in cui si è parlato di una filiera che partiva «dal danneggiamento» per arrivare all’intermediazione, all’acquisto, e alla rivendita del pescato. La costa battuta dagli indagati partiva da Molfetta e arrivava a Barletta.

«Una vendita da oltre mezzo milione di euro con un danno inestimabile per l’ambiente», ha evidenziato il comandante della capitaneria di porto di Molfetta, il capitano di fregata Raffaello Muscariello.

Utili sono state le intercettazioni telefoniche «senza le quali non avremo potuto ricostruire la rete di relazione, i ruoli degli indagati e la loro consapevolezza di quello che facevano», ha continuato il comandante della direzione marittima di Bari, l’ammiraglio Donato De Carolis.

Secondo quanto accertato, gli indagati erano divisi «in tre gruppi che collaboravano tra di loro, si scambiavano i mezzi, sceglievano le giornate per non sovrapporsi nelle attività», ha riferito Nitti chiarendo che ognuno degli indagati aveva un compito. «C’era il dattarolo – ha dichiarato – che con bombola e martello si immergeva per recuperare i datteri, c’era chi si occupava della intermediazione con pescherie, ristoranti e singoli acquirenti. Insomma, una filiera ben strutturata. Pensare che le intercettazioni siano uno strumento superato è qualcosa di completamente scollegato dalla realtà», ha concluso Nitti.

Sull’operazione è intervenuta anche Legambiente che ricorda come, in più occasioni, i circoli «presenti sul territorio avevano segnalato lo scempio che si stava compiendo. Oggi, grazie all’intervento della Procura e delle forze dell’ordine, stiamo scrivendo una pagina epocale nella tutela del nostro patrimonio costiero».

L’associazione ambientalista sottolinea che «la pesca illegale rimane uno dei nodi più urgenti da affrontare– ricorda Legambiente- che evidenzia come la Puglia sia la seconda regione in Italia, dopo la Sicilia, per numero di reati contro gli animali, molti dei quali legati proprio al bracconaggio ittico e alla commercializzazione di specie protette».

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