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Cronaca Puglia

L’evasione cinese e i rapporti con i clan: in Puglia l’ombra di un sistema di riciclaggio

Dietro le maxi evasioni fiscali messe in atto da numerosi empori cinesi presenti sul territorio regionale potrebbe celarsi molto più di una sistematica violazione delle norme tributarie. Secondo qualificate fonti investigative, l’attenzione degli inquirenti si starebbe concentrando su un possibile intreccio tra alcune attività commerciali gestite da cittadini asiatici e i clan mafiosi operanti in diverse aree della Puglia. Uno scenario complesso, ancora in fase di approfondimento, che apre interrogativi inquietanti sul rapporto tra economia illegale e mercato apparentemente lecito.

L’ipotesi in campo è quella di un sistema basato su scambi di reciproci vantaggi illegali. Da un lato le organizzazioni criminali locali, interessate a ripulire ingenti somme di denaro provenienti da traffici illeciti, come droga, rapine e estorsioni; e dall’altro i grandi esercizi commerciali capaci di generare elevati flussi di contante non dichiarato che hanno bisogno di «protezione». Due mondi che potrebbero essersi incontrati dando vita a un meccanismo di «scambio» che si potrebbe basare su protezione e assenza di interferenze in cambio di un servizio di riciclaggio mascherato dalla normale attività d’impresa. In questo schema, gli incassi in nero degli empori diventerebbero lo strumento ideale per confondere le tracce del denaro dei clan, che verrebbe immesso nel circuito economico come provento di vendite commerciali.

Un’operazione di «lavaggio» della valuta particolarmente efficace, perché risulterebbe difficile da individuare e da ricostruire, soprattutto, in presenza di contabilità opache e di una rete di prestanome o intermediari. Le maxi evasioni emerse negli ultimi mesi, con sequestri per milioni di euro e accertamenti fiscali ancora in corso, rappresenterebbero soltanto la parte visibile di un fenomeno più ampio. Le indagini si starebbero ora spostando sui rapporti esterni alle aziende, sulle frequentazioni, sui collegamenti economici e su eventuali condizionamenti esercitati dalla criminalità organizzata. Non si esclude che la presenza dei clan abbia garantito una sorta di «ombrello» protettivo, capace di scoraggiare e eliminare la concorrenza scomoda e assicurare continuità agli affari.

Da tempo la Guardia di Finanza, in collaborazione con la magistratura, sta lavorando alla ricostruzione dei flussi finanziari, seguendo il percorso del denaro e incrociando dati bancari, fiscali e patrimoniali. Al momento non vi sono contestazioni definitive né accuse formalizzate, ma il quadro che emerge viene considerato dagli investigatori di estrema delicatezza. Ogni passaggio viene affrontato con cautela, consapevoli delle possibili ricadute giudiziarie, economiche e sociali. Sul territorio cresce l’attenzione, insieme alla preoccupazione di operatori economici e cittadini.

Il sospetto di un sistema capace di alterare le regole della concorrenza e di infiltrarsi nell’economia legale alimenta interrogativi sulla reale estensione del fenomeno. Le prossime fasi investigative saranno decisive per comprendere se ci si trovi di fronte a episodi isolati o a un modello strutturato di collaborazione criminale, in grado di incidere profondamente sul tessuto produttivo della regione.

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