L’astensione dei più giovani continua a crescere e il fenomeno, osservato da vicino anche nelle università, racconta motivazioni diverse ma convergenti.
Gabriele Tedesco, senatore accademico dell’Unione degli Universitari (Udu), parte da un dato: tra chi vive spazi di partecipazione – associazioni, collettivi, rappresentanze – il voto resta un gesto naturale. «Sono persone abituate all’attivazione politica», spiega. Eppure neanche in questi ambienti si sfugge a un sentimento diffuso di rinuncia. Le associazioni studentesche, spiega Tedesco, organizzano spesso incontri nei propri spazi cittadini, ma il messaggio che arriva dai ragazzi è spesso lo stesso: «Non ha senso andare a votare».
Le cause
Le motivazioni sono molteplici e spesso intrecciate. La prima è materiale: chi studia fuori casa deve affrontare costi di trasporto percepiti come proibitivi, tanto che neppure gli sconti attivati per le elezioni hanno convinto molti a rientrare. Poi c’è la barriera educativa. «Nel momento in cui si ha accesso alla formazione è più semplice comprendere la necessità della partecipazione», osserva Tedesco.
Nelle fasce più fragili, dove l’istruzione fatica a incidere e a creare emancipazione, si coglie un distacco più netto: disinteresse, disillusione, mancanza di fiducia nelle istituzioni e nella capacità della politica di rispecchiare bisogni reali. A questo si somma una narrazione ricorrente: «Tanto vince chi è già favorito, quindi che cambia se vado?». Una convinzione che svuota il senso stesso del voto e alimenta un circolo vizioso: meno partecipazione, meno rappresentanza, quindi ancora meno motivazione a partecipare.
Il peso del voto
Ma perché invece i giovani dovrebbero andare alle urne? Per Tedesco la risposta è chiara: votare significa incidere. «C’è la necessità di essere motori attivi della proposta politica attuale e futura», afferma. Far sentire i propri bisogni, far capire che esistono esigenze precise cui la politica deve rispondere. Non adattarsi a ciò che viene offerto, ma «ribaltare la prospettiva» e acquisire potere contrattuale. È questo il punto: partecipare non come atto simbolico, ma come scelta concreta per affermare diritti e visioni. E poi c’è un principio spesso dato per scontato: il voto è un diritto, ma anche un dovere sancito dalla Costituzione. Rinunciarvi significa lasciare ad altri il compito di decidere cosa sarà del presente e del futuro. Per questo, insiste Tedesco, «tornare» al voto non è un peso, ma uno strumento di autodeterminazione che i giovani non possono permettersi di abbandonare.










