Le ricette si tramandano da secoli oramai e gli ingredienti restano gli stessi. Sono pochi, sono semplici, sono buoni e sono made in Puglia. Ci sono le mandorle, il vin cotto, di uva o di fichi per chi preferisce un gusto più dolce e meno acre; e poi farina, olio extravergine di oliva, zucchero e tanta pazienza e amore. E sì, perché per realizzarli ci vuole tempo e anche fatica, non foss’altro per le quantità. Questi dolci, infatti, si preparano intorno all’Immacolata e devono bastare per tutta la famiglia, allargata, e per tutta la durata delle feste. Ma di buono c’è che non si tratta di un lavoro solitario. Almeno un tempo era così.
Il rito
Le donne si riunivano e davano il via alla preparazione, come in un rito, o meglio, meno romanticamente, una catena di montaggio. L’anziana alla regia o, se la pasticceria non era il suo forte, quella, tra figlie, nuore, nipoti e vicine di casa, all’altezza del ruolo. In una consuetudine in cui, a volte i dolci finivano per essere soltanto un pretesto. Quelle donne, unite in un territorio esclusivo fatto di confidenze, pettegolezzi e libertà, fra mattarelli e rondelle per intagliare la pasta, affinavano le strategie di famiglia, intessevano matrimoni per figlie-figli e nipoti, condividevano esperienze, dubbi e confidenze, imparando l’una dalle altre. Difficile da capire oggi, ma quella era una scuola di vita.
Una festa per i bambini
Spesso con loro c’erano anche i bambini, a guardare e giocare con i ritagli di pasta fresca e, soprattutto, ad avere il privilegio di assaggiare per primi quei dolci profumati e caldi. L’elenco è lungo, e non esaustivo, se si considerano le infinite varianti territoriali di questa regione lunga e ricca di profumi e cose buone.
L’assortimento
Le regine del Natale sono senza dubbio le cartellate, impastate con farina, vino bianco e olio extravergine di oliva. La pasta va poi stesa, sottile, fatta a strisce, intagliata con una rondella che ha il manico in legno, pizzicate fra le dita, arrotolate e fritte. Sopra ci si cola il vin cotto. Il loro nemico è il frigorifero, l’umidità le rende molli, ed è la fine. Devono essere croccanti e durare fino alla Befana, ma non succede quasi mai.
Secondo posto per i calzoncelli. Piccoli panzerotti fatti della stessa pasta delle prime ma ripieni di pasta di mandorle e vin cotto, pure fuori. E poi i mustacciuoli, dei biscotti che ai primi ingredienti richiedono un’aggiunta di cioccolato, semplici, anche nella presentazione, ma veri, autentici, buoni. Come pure i tarallini con lo “sclipp”, glassati, un tempo prerogativa delle monache di clausura. E poi tutta la serie di dolci di mandorle e pasta reale, i torroncini, i ritagli, le mandorle pralinate e quelle ricoperte di cioccolato.
L’abbinamento
Vanno accompagnati da liquori fatti in casa e caffè, nei pranzi lunghi delle feste. Gli altri giorni, il segreto è sbocconcellarli poco alla volta per farli durare fino all’Epifania. Sono ancora oggi fra i doni più graditi e preziosi. Nati come dolci semplici, legati alla civiltà e ai prodotti contadini, ora li si trova in tutte le pasticcerie, a caro prezzo. Ma non è lo stesso di quando a regalarli è chi ancora li prepara come un tempo, perché non saranno belli come quelli dei pasticceri, e non è detto, ma hanno un ingrediente in più, l’autenticità e la memoria del passato, un pezzettino di matriarcato dolce che sa di Sud.