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Criminalità in Puglia, parla Chiara Colosimo: «La droga è il passaporto per avvicinarsi ai clan» – L’INTERVISTA

L’operazione «Pit Bull», condotta dai carabinieri, all’alba di martedì, nei confronti di una rinnovata cellula della Sacra corona unita operante nel Basso Salento, ha riproposto, ancora una volta, il ruolo da protagonista delle donne negli scenari criminali pugliesi. Un tema su cui in più occasioni è intervenuta Chiara Colosimo, deputata di Fratelli d’Italia e da maggio 2023 presidente della Commissione parlamentare antimafia.

Colosimo, dal suo osservatorio, qual è oggi il ruolo delle donne nella criminalità organizzata?

«Le donne hanno due facce quando parliamo di mafia. Ci sono quelle che subiscono e aspettano lo Stato per tornare ad essere libere di scegliere, e quelle che diventano peggio dei boss. A queste dobbiamo ricordare che il 41bis esiste anche per loro, e da lì si esce solo dando un contributo importante allo Stato».

In che modo si può spezzare questo vincolo mafioso?

«Offrendo la possibilità di cambiare, di lasciarsi alle spalle il passato. Noi dobbiamo dare un’alternativa, quella di vivere una nuova vita, senza il pericolo o il timore costante di ritorsioni. Per questo il nostro obiettivo è offrire a queste donne che decidono di tagliare i legami con le mafie la stessa protezione dei testimoni di giustizia. In questo modo saranno loro a fermare la criminalità organizzata. Le ragazze che io ho incontrato e che sono venute in Cmmissione, sotto copertura, sono rinate».

Nella criminalità pugliese ci sono o ci sono state figure di rilievo a livello femminile?

«Spesso nei miei incontri e nei dibattiti racconto il caso di Aurora Spanò, uno dei volti più spietati e feroci della ‘ndrangheta, capace di imporre il proprio potere anche dal regime del 41bis, ma anche la Puglia ha dimostrato, negli ultimi trent’anni, il ruolo da protagoniste e reggenti del clan di madri, mogli e compagne dei boss. E non mi riferisco solo come portavoce all’esterno di decisioni altrui, ma anche come reggenti con poteri autonomi».

Dai Capriati ai Laraspata, dai Modeo alla mafia foggiana, fino alla Scu brindisina e leccese, sono tanti i nomi femminili passati alle cronache giudiziarie, come quello di Anna De Matteis, alias «Anna morte», moglie del boss Luigi Giannelli, capace di ordinare l’omicidio della sua amante e della figlia di due anni.

«È proprio quello che dicevo, a volte le donne sono capaci di dimostrare una ferocia peggiore degli uomini».

Sempre più emerge il fascino che il crimine esercita sui ragazzi, come si può fermare questo fenomeno?

«Noi dobbiamo impegnarci per far capire ai ragazzi che spesso si trovano di fronte a una scelta fondamentale per le loro vite, quella di diventare protagonisti dell’antimafia. Purtroppo questo avviene sempre più di rado, perché in questo periodo storico le giovani generazioni sono affascinate dalla criminalità organizzata».

A cosa è dovuto?

«Il primo motivo è che adesso si spara meno, e quindi nei giovani si crea meno quel terrore o quella reazione che in passato ha portato i ragazzi in piazza contro le mafie. Dall’altra parte c’è la droga, perché le piazze di spaccio sono in tutta Italia il bancomat della criminalità organizzata, ma sono anche il modo con cui i più giovani si avvicinano ai clan».

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