«Le strategie umane non portano da nessuna parte se non ci si abbandona allo Spirito Santo»: il cardinale Angelo De Donatis si avvicina con questo spirito al suo primo conclave. Nativo di Casarano, il prelato è stato tra i più stretti collaboratori di papa Francesco che l’ha prima consacrato vescovo, poi l’ha elevato arcivescovo, poi ancora creato cardinale e infine nominato penitenziere maggiore e membro della Congregazione per il clero e di quella per gli istituti di vita consacrata.
Eminenza, con quale spirito si avvia al conclave?
«Con spirito di fede, cioè con la consapevolezza che è il Signore a guidare la Chiesa e che lo stesso Signore, anche in questa circostanza, saprà individuare il pastore adatto per il suo gregge. Le strategie umane e la politica non portano da nessuna parte se non ci si abbandona allo Spirito Santo».
Non è impresa facile trovare il pastore adatto per una Chiesa in difficoltà…
«Ogni fase storica ha le sue difficoltà. E le difficoltà non mancano nella conduzione della Chiesa dove ci possono essere visioni diverse. Anche negli atti degli apostoli, d’altra parte, si riscontrano visioni opposte. Ma l’importante è arrivare all’unità valorizzando le diversità e non appiattendole. Non è un’impresa facile, solo lo Spirito Santo può riuscirci».
Quali dovranno essere le priorità del prossimo papa?
«Sarà importante continuare in due solchi tracciati rispettivamente da papa Benedetto XVI e da papa Francesco. Il primo riguarda la presenza di Dio nella società. La relazione tra l’uomo e Dio deve tornare a essere centrale. Gli squilibri nascono quando uno dei due termini della relazione viene eliminato. Non a caso Giovanni Paolo II osservava che un mondo senza Dio sarebbe contro l’uomo. Il secondo solco riguarda l’uomo nella società contemporanea: bisogna capire chi è l’uomo e operare in maniera tale che corpo, psiche e spirito – tre dimensioni essenziali – non siano trascurate».
Poi c’è la pace, non trova?
«Il tema della pace è legato alla paternità. Il padre è colui il quale mette insieme i fratelli. Certo, bisognerà lavorare in questo senso».
Lei è stato uno dei più stretti collaboratori di papa Francesco: com’è nata questa sintonia?
«La collaborazione è sempre stata molto feconda. All’inizio del pontificato, il Santo Padre mi chiese di condurre gli esercizi spirituali per lui e per la Curia. Poi, da cardinale vicario, mi è stato chiesto di curare la formazione permanente dei sacerdoti, in particolare dei giovani».
E papa Francesco come si è mostrato?
«Si è mostrato per quello che era: un pastore e un padre spirituale. Mi disse di ricordare tre cose: per i giovani la vera formazione è avere un fratello maggiore che li accompagni; i momenti difficili si superano; non bisogna mai dubitare della presenza di Dio».
Ricorda qualche episodio particolare?
«Più di uno. Quando fui consacrato vescovo, nel 2015, al termine della celebrazione papa Francesco mi rimproverò: “Hai benedetto tutti, ma non me”. Allora chinò il capo e volle che io gli impartissi la benedizione. In un’altra circostanza, stavamo visitando una parrocchia in cui tutti volevano farsi fotografare con lui. Era faticoso, ma il Santo Padre si voltò verso di me e disse: “Ho promesso di non dire mai di no”. E a nessuno negò uno scatto. Il nostro è stato un rapporto sempre sereno ed empatico, probabilmente frutto degli esercizi spirituali e sicuramente della sua straordinaria capacità di leggere nei cuori».