Lo stop alla cassa integrazione Covid per gran parte delle aziende (resterà solo per il comparto turistico) rischia di fare saltare il precario equilibrio delle vertenze pugliesi e lucane. Le crisi aziendali stringono nella morsa più di quattromila lavoratori e con essi le loro famiglie. Sul tavolo della sola task force pugliese le vertenze sono 39. In Lucania la situazione è addirittura più incancrenita, con stati di difficoltà aperti da anni e che non vedono soluzione, a cominciare dalla vertenza dell’Ex Auchan di Melfi.
BariTech, riconvertita e… abbandonata
La vicenda della BariTech è tra le più complicate da risolvere ma anche una delle più emblematiche. Quando fu prospettata la riconversione dalla produzione di lampadine a quella di mascherine in tessuto non-tessuto, i 156 dipendenti tirarono un sospiro di sollievo. Era l’inizio della pandemia e c’era una grande richiesta. La crisi dell’ex Osram (così si chiamava l’azienda) lasciò finalmente spazio a una nuova era, finché anche la domanda di questa tipologia specifica di mascherina è iniziata a diminuire. Il 31 dicembre è terminato l’accordo con la struttura d’emergenza Covid guidata dal generale Figliuolo. Verificata la non volontà di proroga, la fabbrica ha chiuso i battenti una settimana prima, lasciando i lavoratori in cassa integrazione. Sono in corso diverse interlocuzioni per una acquisizione e una nuova riconversione. I tempi, però, ad oggi appaiono piuttosto lunghi.
Bosch, 700 posti a rischio
Sono 700 gli esuberi della sede barese della multinazionale leader nella produzione di attrezzi elettrici. Da circa un mese i sindacati denunciavano il quasi fermo della produzione. Su 1715 dipendenti 1.300 erano in cassa integrazione. L’azienda ha rotto il silenzio la scorsa settimana annunciando l’obiettivo di ridurre la forza lavoro a 1.000 unità entro il 2027. Le tre più rappresentative sigle sindacali, Cgil, Cisl e Uil, chiedevano una ridistribuzione delle commesse relative agli altri impianti italiani. Una sorta di solidarietà nei confronti dello stabilimento di Bari che ad oggi, però, appare lontana dalle intenzioni del gruppo. «Nelle altre sedi c’è un sovraccarico produttivo – afferma Riccardo Falcetta, segretario regionale Uilm di Bari -. Non si comprende perché non si voglia spostare in Puglia parte di esse, in modo da risolvere il problema degli esuberi. Invece si preferisce ricorrere altrove ai lavoratori somministrati e a Bari alla cassa integrazione». L’appuntamento cerchiato sul calendario è quello di ottobre quando la Bosch si confronterà con i sindacati sul nuovo piano industriale.
Ilva, 1.600 in attesa di futuro
Continua a trascinarsi nei mesi, anzi, negli anni, la situazione dei 1.600 lavoratori ex Ilva che sono rimasti nella vecchia società in amministrazione straordinaria, fuori dalla newco “Acciaierie d’Italia”. Per loro il futuro doveva e dovrebbe essere nelle operazioni di bonifica del territorio. Il condizionale è però d’obbligo, non solo perché sul futuro stesso dello stabilimento di Taranto regna l’incertezza ma anche perché le operazioni di bonifica procedono alquanto al rilento. Martedì 11 gennaio il ministero della transizione ecologica ha prorogato l’incarico di commissario straordinario per le bonifiche al prefetto Demetrio Martino fino al 31 marzo. Si sceglie di prendere tempo, dunque, in attesa che si decida una volta per tutte cosa fare della produzione, degli investimenti sulla decarbonizzazione e su quante risorse metterà a disposizione lo Stato per riqualificare il territorio inquinato. Per raggiungere quest’ultimo fine era previsto anche l’utilizzo delle risorse sequestrate ai Riva nel processo per evasione fiscale in corso a Milano (1,2 miliardi di euro). Con una modifica dell’ultimo momento nel provvedimento milleproroghe, però, queste risorse sono state spostate dagli interventi di bonifica a quelli sugli impianti, nell’ottica di procedere più rapidamente con l’ammodernamento dello stabilimento. Mentre i partiti litigano sulla paternità dell’iniziativa, con accuse che volano tra M5S, Pd e Lega, la condizione dei 1.600 lavoratori appare ancora più in bilico.
Hotel Palace, lavoratori in cassa
Una vicenda simbolo della crisi economica pugliese è quella dell’hotel Palace. Un tempo punto di riferimento per il turismo cittadino, lo scorso novembre la proprietà ha avviato la procedura di licenziamento dei 69 lavoratori. Una iniziativa che ha scatenato le rimostranze dei dipendenti che per settimane hanno manifestato fuori da quello che era il loro posto di lavoro. La scorsa settimana si è riusciti a trovare l’accordo sulla cassa integrazione che durerà dodici mesi. Un contentino per chi aveva una occupazione ed ora rischia di non averla più.
Quale futuro per l’indotto di Stellantis?
Tra le situazioni più complesse della Basilicata spicca quella dell’indotto dell’ex Fiat, 2.500 lavoratori. Le aziende devono riadattarsi per produrre dal 2024 anche le auto ex Peugeot con investimenti e prospettive tutte da verificare durante il 2022. Sullo sfondo, poi, l’incognita dell’elettrico che, da solo, riduce di due terzi la componentistica delle auto. Meno lavoro, dunque, anche per l’appalto.