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Appalti pubblici: la Puglia apripista sul salario minimo ma pochi i Comuni che lo prevedono

Garantire salari equi non è solo una questione di giustizia sociale, ma anche un motore per l’economia. In Puglia la scelta d’introdurre un salario minimo orario negli appalti pubblici ha mostrato come la tutela del lavoro possa andare di pari passo con la crescita del territorio, rendendo di fatto la regione un esempio virtuoso nel panorama nazionale. L’idea di fondo è semplice: retribuzioni adeguate significano maggiori consumi, stabilità per le famiglie e un tessuto produttivo più solido. Secondo gli economisti locali, si aumenta così il potere d’acquisto e si rafforza l’intera filiera economica, dal piccolo commercio ai servizi locali.

La legge regionale n.30 del novembre 2024, ora sospesa, è nata proprio da questa visione, fissando una soglia minima di 9 euro lordi all’ora per i lavoratori impiegati negli appalti e nelle concessioni affidate da enti pubblici pugliesi. L’obiettivo, sostanzialmente, è quello di porre un argine al dumping contrattuale e alle gare al massimo ribasso, che spesso si traducono in precarietà e sfruttamento.

Il modello pugliese

Già prima della legge regionale, diversi Comuni pugliesi hanno approvato specifiche mozioni definendo criteri di equità salariale nei propri bandi, dimostrando che la trasformazione può partire dal basso. Foggia, Cerignola e San Severo, nel cuore della Capitanata, hanno introdotto nei propri bandi pubblici una clausola di premialità per le imprese che garantiscono un salario minimo di 9 euro all’ora. Un’iniziativa sostenuta anche da Bari, Noicattaro e Taranto, che hanno inserito nei bandi comunali clausole premianti per le imprese che garantiscono condizioni retributive più eque.

«La presenza di un salario minimo negli appalti pubblici – si legge nei report elaborati dall’Osservatorio sul Lavoro e sui Redditi – riduce le distorsioni della concorrenza e favorisce imprese più solide, capaci di competere sulla qualità del lavoro anziché sul taglio dei costi. In molti casi, le aziende che rispettano standard salariali più alti sono anche quelle che investono maggiormente in formazione e innovazione, con effetti positivi sull’intero sistema produttivo».

In termini macroeconomici, l’applicazione di un salario minimo ha un effetto moltiplicatore: migliora la redistribuzione del reddito, alimenta la domanda interna e sostiene la stabilità dei bilanci familiari. «Un’economia locale più sana – evidenziano i documenti dell’Osservatorio – tende inoltre ad attrarre investimenti e a ridurre la dipendenza da settori a basso valore aggiunto. In Puglia, dove il lavoro povero è una realtà diffusa, queste misure rappresentano un passo importante verso una crescita più equilibrata».

Gli scenari futuri

Il percorso della legge pugliese si è però interrotto con l’impugnazione da parte del Governo, che ne ha contestato la legittimità costituzionale. Secondo l’esecutivo, la definizione di una soglia retributiva minima rientrerebbe nella competenza esclusiva dello Stato. La questione è ora all’esame della Corte costituzionale, la cui decisione sarà determinante per il futuro del provvedimento e, più in generale, per il ruolo delle Regioni nelle politiche del lavoro. In attesa del giudizio, la norma resta sospesa ma non dimenticata. Molti Comuni continuano ad approvare mozioni basate sul principio del salario minimo come criterio premiale nei bandi, mantenendo viva l’idea che il lavoro pubblico debba essere sinonimo di qualità, non di risparmio a ogni costo.

La spinta nata in Puglia ha già prodotto un effetto di contagio: altre amministrazioni guardano con interesse all’esperimento pugliese, valutando di adottare misure simili per tutelare i lavoratori e rendere più sostenibile il sistema degli appalti.

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