Dal punto di vista pugliese, la vicenda del trasferimento della gestione idrica di tredici comuni irpini da Acquedotto Pugliese ad Alto Calore Servizi, appare come una decisione calata dall’alto, che rischia di produrre più criticità che benefici.
Una legge regionale della Campania e un decreto presidenziale impongono il passaggio, ma i territori coinvolti continuano a manifestare forti perplessità, condivise anche oltre i confini regionali. Acquedotto Pugliese rappresenta da decenni un modello digestione pubblica efficiente, capace di garantire continuità del servizio e investimenti strutturali anche in contesti complessi
La lettura
Il distacco forzato dei comuni campani viene letto, dalla Puglia, come una scelta che non tiene conto della realtà operativa né delle ricadute concrete sui cittadini e sulle imprese. «Non si può chiedere ai territori di fare un salto nel buio», afferma Virgilio Caivano, portavoce «Piccoli Comuni» che aggiunge: «Alto Calore è ancora in amministrazione controllata e imporre il passaggio senza che prima si sia raggiunta una piena stabilità aziendale significa mettere a rischio un bene essenziale come l’acqua».
Alto Calore Servizi (Acs) Spa, è l’azienda pubblica che gestisce il servizio idrico integrato (acqua, fognatura, depurazione) per la maggior parte dei comuni nelle province di Avellino e Benevento, servendo circa 450 mila abitanti e attingendo da importanti sorgenti come quelle di Cassano Irpino, che alimentano anche altre regioni.
Le preoccupazioni
Secondo Caivano, la preoccupazione dei sindaci è legittima e andrebbe ascoltata, soprattutto alla luce delle possibili ripercussioni tariffarie. La questione si intreccia con una crisi più ampia che colpisce le aree interne del Mezzogiorno.
Le difficoltà di approvvigionamento idrico nelle zone industriali dell’Appennino meridionale rendono fragile qualsiasi prospettiva di sviluppo. «Senza acqua non c’è industria, senza industria non c’è lavoro», sottolinea Caivano che conclude: «E senza lavoro i territori si spopolano».
Acqua e monti
Ma le critiche sulla governance delle risorse e dei territori non riguardano solo l’acqua e la moltiplicazione degli enti di gestione, bollati da Caivano come «un poltronificio», coinvolge anche le recenti decisioni governative sui paesi di montagna, quelli che poi vivono a più stretto contatto con le sorgenti idriche e gli invasi.
Dal fronte pugliese emerge anche una critica più generale all’attuale impostazione delle politiche nazionali e regionali per la montagna, giudicate frammentarie e prive di una visione d’insieme. «Serve una programmazione seria, che consideri i territori come sistemi vivi e non come confini amministrativi», conclude Caivano. «L’acqua dovrebbe unire le comunità, non diventare motivo di scontro istituzionale». In gioco non c’è solo una gestione tecnica, ma il futuro di intere aree interne che chiedono certezze, investimenti e rispetto.









