Verso il congresso Pd, Palmisano: «Nessuna incertezza contro l’Autonomia»

Le primarie per la segreteria del Partito Democratico si intrecciano con i temi più caldi del dibattito politico. Inevitabile, dunque, che l’autonomia differenziata tanto cara alla Lega diventi un terreno di confronto. Ieri Stefano Bonaccini, a margine di un appuntamento a Salerno, ha rimarcato il proprio no al disegno di legge Calderoli. «Non è votabile e consiglierei di ritirarlo – ha affermato il presidente della Regione Emilia Romagna -. Peraltro vedo che nella maggioranza non c’è una grande convinzione dalle parte di FdI e FI. Mi sembra uno scalpo che si voglia dare alla Lega per le regionali il Lombardia ma non è così che si fa una riforma». Tra chi preme particolarmente affinché il Pd rigetti ogni ipotesi federalista in salsa leghista c’è la mozione Cuperlo, che in Puglia è rappresentata da Leonardo Palmisano e Cinzia Dicorato.

Palmisano, perché fa così paura l’autonomia richiesta da una parte delle regioni del Nord?

«Perché rischia di fare saltare il patto di solidarietà nel Paese. Il punto di riferimento dovrebbe essere quello che ha suggerito lo Svimez: una volta crollata la domanda di beni al Sud l’economia del Nord si è inabissata. Non può esserci una Italia a due velocità».

In cosa, su questo, la candidatura di Cuperlo si distingue rispetto a quella di Bonaccini e Shlein?

«Siamo sempre stati molto chiari, dentro e fuori dal partito. In questo Paese la questione fiscale non è mai stata solo un tema tecnico ma anche politico. Noi siamo per una centralità del Sud che guardi al Mediterraneo e individuiamo nella Puglia la regione ponte per realizzarlo. Non sempre gli altri sono stati altrettanto netti, se non adesso che il tentativo di forzatura del governo sull’Autonomia sta riproponendo la questione meridionale».

La Puglia appare sempre più una regione strategica nelle dinamiche interne al Pd. Il dualismo tra Emiliano e Decaro rischia di fare più male che bene?

«Come mozione Cuperlo ci stiamo battendo da tempo affinché il dibattito resti sui temi e non si sposti sui nomi. I secondi devono essere la conseguenza dei primi, non il contrario. Se lasciamo che le forti personalità condizionino gli argomenti politici e che ingessino il dibattito rischiamo di perdere anche le prossime politiche».

C’è qualcosa che il Pd dovrebbe imparare da Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia?

«Hanno studiato dal Pci la strutturazione territoriale. Rivedo in questo le strategie dei grandi partiti di massa del ‘900. Il Pd deve tornare a rianimare le sezioni. La democrazia è organizzazione e non solo a fini elettorali. Su questo dobbiamo recuperare terreno».

In cosa si differenzia la vostra proposta da quella di Elly Schlein? In molti, a sinistra, hanno sperato fino all’ultimo in una sintesi…

«In realtà il tema della convergenza non si è mai posto seriamente. Credo che, alla base, ci sia una idea diversa del partito. Per noi dev’essere meno “liquido” con un organismo direttivo che torni centrale nella società e nell’organizzazione interna. Mi auguro che a prescindere dal risultato ci sia un grande dibattito sul futuro perché su alcuni temi, a cominciare dal lavoro, non possono più esserci divergenze».

Da dove bisognerebbe partire?

«Sul piano internazionale, come dicevo, dal rapporto con i paesi del Mediterraneo. Su quello economico e sociale dal lavoro: non si può più affrontare il tema della denatalità con i bonus. Servono politiche serie per l’occupazione femminile, ad esempio. Bisogna passare dagli interventi-slogan alla concretezza».

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