Regionali in Puglia, Tatarella: «Alla destra servono figure autorevoli» – L’INTERVISTA

«In Puglia servono figure autorevoli, credibili e forti di un solido consenso. Altrimenti alle elezioni continueremo a perdere come avviene da vent’anni a questa parte»: il monito è di Fabrizio Tatarella, vicepresidente della Fondazione Tatarella, che oggi alle 17 aprirà la convention nazionale dei conservatori in programma fino a domani a Roma. Un appuntamento importante se si pensa non solo al Governo nazionale, attualmente espressione di una cultura conservatrice, ma anche alla Puglia, dove l’anno prossimo si terranno le elezioni regionali.

Al voto manca un anno: i conservatori sono pronti?

«Mi preoccupano i tempi. Più tardi si sceglie il candidato presidente, più difficile è vincere. Il passato insegna. Nel 2020 Raffaele Fitto fu candidato all’ultimo momento, offrendo un innegabile vantaggio a Michele Emiliano. A Bari, quest’anno, si è fatto peggio, con Fabio Romito che ha avuto poco tempo per tentare di riaprire la partita per il Comune».

Da dove bisogna partire?

«Bisogna convocare gli Stati generali dei conservatori e individuare presto un nome anche per rispetto dei nostri iscritti, simpatizzanti ed elettori che difficilmente perdonerebbero ulteriori sconfitte alla nostra classe dirigente. In Campania il viceministro Edmondo Cirielli ha già dato la disponibilità. In Puglia, escludendo Fitto che è proiettato verso la Commissione europea e il sottosegretario Alfredo Mantovano di cui il presidente Giorgia Meloni difficilmente si priverà, la disponibilità dovrebbero darla il viceministro Francesco Paolo Sisto e il sottosegretario Marcello Gemmato che hanno ruoli di governo».

Il candidato dev’essere un esponente del Governo?

«No. Oltre il criterio istituzionale, va seguito quello del consenso elettorale e qui, a parte l’europarlamentare Francesco Ventola che ha ampiamente vinto la competizione delle preferenze, non ci sono altri nomi».

Attingerete alla società civile?

«Ammesso che questa opzione esista, la società civile più passa il tempo e meno sarà disponibile a sacrificarsi».

Ma perché la destra, in Puglia, perde da vent’anni?

«Mancano cultura politica e senso di appartenenza. E tanti, ammaliati da sirene del potere e incarichi pubblici, hanno preferito accasarsi nel centrosinistra. Perciò servono figure autorevoli, credibili e forti di un solido consenso».

Intanto sarà lei, pugliese, ad aprire i lavori della convention dei conservatori: che valore ha questo ruolo?

«È un grande onore perché si tratta del più importante evento italiano dedicato al conservatorismo nell’ambito del quale, però, ci confronteremo anche con autorevoli esponenti di culture diverse come Luciano Violante, Pasquale Tridico e Chicco Testa. L’obiettivo è quello di aprirsi e radicarsi ancora di più nel tessuto sociale italiano, forti anche di esperienze pugliesi come l’istituto Prezzolini che fu fondato da Pinuccio e Salvatore Tatarella e rappresentò un’esperienza pionieristica per la cultura e la politica conservatrici del nostro Paese».

Non c’è il pericolo che i conservatori siano ancora identificati con fascisti o neofascisti?

«No. Il fascismo è stato un freno determinante per la formazione di un partito conservatore. Nel dopoguerra il conservatorismo fu rappresentato dalla Democrazia Cristiana e, in misura minore, dal Movimento sociale italiano. Poi venne il tempo di Alleanza Nazionale, primo esperimento di partito conservatore. Oggi che il fascismo è storicizzato, Fratelli d’Italia può rappresentare il mondo conservatore e anche quello cattolico, occupando lo spazio politico un tempo appannaggio della Dc».

Ma che cosa significa, oggi, essere conservatori?

«Il conservatorismo è la filosofia degli affetti. Siamo affezionati alle cose che amiamo e vogliamo proteggerle dalla distruzione, anche se sappiamo che non possono durare in eterno. Ma dobbiamo studiare i modi in cui possiamo preservarle anche attraverso quei cambiamenti cui devono necessariamente sottoporsi, affinché la nostra vita continui a essere vissuta in spirito di buona volontà e di gratitudine, come ha detto Roger Scruton».

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