I discorsi di Mattarella in un libro di Pino Pisicchio: «Unico a ricordare la Costituzione»

«Ormai la solidarietà non è oggetto di impegno da parte delle forze politiche. Non è patrimonio della destra di governo né della sinistra di opposizione. L’unico a ricordarci che la solidarietà è un dovere costituzionale è il presidente Sergio Mattarella». Pino Pisicchio, accademico ed parlamentare barese di lungo corso, sintetizza così “La solidarietà come dovere costituzionale nei messaggi di Mattarella” (Cacucci editore), il libro in cui analizza i discorsi alla nazione pronunciati ogni 31 dicembre dal capo dello Stato.

Onorevole, perché un libro sui messaggi di Mattarella?

«Il nostro Paese poggia su una Costituzione sintetizzata dal principio di solidarietà. Anzi, l’articolo 2, che fissa doveri inderogabili di solidarietà politica economica e sociale, e l’articolo 3, che impegna lo Stato a garantire l’uguaglianza sostanziale tra i cittadini, sono una “Costituzione bonsai”. Eppure quel principio di solidarietà è caduto in desuetudine. E a colmare questa lacuna sono soltanto papa Bergoglio, che sulla solidarietà ha costruito il suo magistero, e il presidente Mattarella, i cui nove anni a capo dello Stato sono stati caratterizzati dalla solidarietà in modo netto, forte e pluridirezionale. Il presidente fa riferimento alla solidarietà intergenerazionale, in termini di lavoro, a tutela della famiglia, intesa come diritto all’istruzione e così via. Questo perché Mattarella si muove secondo la logica della nostra Costituzione che non si limita a garantire l’uguaglianza formale dei cittadini e la non ingerenza da parte dello Stato, ma impegna lo Stato stesso a fare in modo che l’uguaglianza sia effettivamente realizzata».

Le forze politiche fanno altrettanto?

«Non direi. La destra aderisce a una visione “hard” del liberismo e del capitalismo. Non a caso la parte più significativa di quell’area politica considera Donald Trump come un alfiere del liberismo e non come un incidente della storia».

Esiste, però, una destra sociale che guarda alle classi svantaggiate almeno quanto la sinistra, non crede?

«Quella destra è ormai marginale, visto che la parte più consistente di chi si riconosce in quell’area politica guarda con sempre maggiore interesse a modelli anglosassoni e statunitensi. Basti pensare che Giorgia Meloni ha stretti rapporti col premier britannico Rishi Suniak, leader del partito conservatore, e con quello ungherese Viktor Orban, che è ben oltre la destra liberale».

A sinistra se la passano meglio?

«La sinistra ha completamente dimenticato certi temi. Il Partito democratico è attratto più dai diritti civili e dai problemi di genere e sempre meno dalla povertà e dalla disoccupazione che in Italia dilagano. Non a caso Mattarella sottolinea spesso il fatto che l’Italia abbia visto emigrare all’estero più di 250mila giovani in dieci anni. Purtroppo, però, anche a sinistra c’è carenza di sensibilità su certi temi».

Andiamo sul concreto. L’autonomia differenziata, che il governo Meloni intende realizzare, lede quel principio di solidarietà di cui lei parla nel libro?

«Certo. Fare in modo che il gettito fiscale resti a disposizione delle singole Regioni significa impedire che quelle stesse risorse circolino e vengano utilizzate per correggere le disuguaglianze. E, per superare questa obiezioni, non basta dire che le Regioni attualmente più in difficoltà sarebbero stimolate a migliorare le proprie performance. Ma su questo tema bisogna aggiungere un elemento».

Quale?

«L’autonomia differenziata è prevista dalla Costituzione. Ed è prevista dalla Costituzione per scelta della sinistra che, all’inizio degli anni Duemila, volle approvare a tutti i costi la riforma del Titolo quinto. All’epoca ero segretario nazionale di Rinnovamento italiano e, nel corso delle riunioni di coalizione, fui l’unico a mettere in guardia gli alleati dal rischio di ribaltare lo schema costituzionale e di introdurre un principio divaricativo che è l’esatto opposto della solidarietà di cui parla la nostra Carta. Sapevo che quello sarebbe stato l’inizio della fine per il Sud. I partiti dell’epoca, invece, vollero a tutti i costi approvare la riforma, sostanzialmente per contenere le spinte della Lega Nord verso la secessione».

Sul fronte opposto sono state introdotte misure come il Reddito di cittadinanza: in questo caso il principio di solidarietà è rispettato?

«Quelle sono soltanto tirate populistiche del Movimento Cinque Stelle. Un sussidio risponde al principio di solidarietà se consente ai nuclei familiari di sopravvivere quando, per esempio, un componente abbia perso il lavoro. Non può tradursi in un’azione generalizzata com’è avvenuto nel caso del Reddito di cittadinanza».

E quindi qual è il confine tra solidarietà e populismo?

«Il confine è la responsabilità. Ed essere responsabili significa tenere conto della fattibilità e della sostenibilità di certe politiche. Facciamo un esempio. Gheddafi riuscì a pacificare la Libia, peraltro scarsamente popolata, distribuendo alle varie tribù in conflitto parte dei proventi dell’estrazione del petrolio. In Italia, invece, la coperta è corta e le risorse vanno destinate a ciò che è realmente e strettamente necessario. Bisognerebbe abbandonare la politica dell’immediato e operare avendo una prospettiva e un’idea di Paese».

Che cosa ci insegnano, dunque, i messaggi di Mattarella?

«La solidarietà è un dovere costituzionale, il che impone allo Stato di intervenire per garantire l’uguaglianza sostanziale in vari ambiti: dal servizio sanitario, per il quale Mattarella si è speso particolarmente durante la pandemia, alla parità di accesso al lavoro, soprattutto per quanto riguarda le donne. Senza dimenticare l’ambiente, in riferimento al quale il presidente ha evidenziato il diritto delle nuove generazioni a vivere in un contesto sostenibile, e il dovere di concorrere alle spese pubbliche, in un Paese dove l’evasione ha ormai raggiunto livelli drammatici».

Bisognerebbe insegnare i discorsi di Mattarella nelle scuole, non trova?

«Certo, sarebbe importante. Qualche tempo fa è stata approvata una norma volta a riportare l’educazione civica nelle scuole. Quella stessa norma, però, è di fatto rimasta lettera morta. Invece sarebbe bellissimo se i giovani ragionassero sui messaggi di un uomo delle istituzioni come Mattarella».

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