C’è una parte del Movimento Cinque Stelle che il campo largo, a tratti diventato giusto ma sempre più un campo minato, non lo ha mai digerito. Nel consiglio regionale della Puglia, a rappresentare convintamente l’eterodossia grillina è Antonella Laricchia, candidata presidente in quota M5s alle regionali del 2020 e che, dopo essere entrata in via Gentile, non ha mai aderito alla maggioranza del presidente Emiliano, al contrario degli altri esponenti del gruppo.
Consigliera, come ha preso la “parziale” uscita del M5s dalla maggioranza?
«È stato un atto dovuto alla luce di quanto sta accadendo e che mi rende particolarmente soddisfatta, perché da più di tre anni grido che fosse un atto necessario. Ora sembra un po’ tardivo, ma se rappresenta un primo passo verso la fine del campo largo è ben accetto».
Festeggia alla possibile fine del campo largo. Lei è per il ritorno alle origini, ossia a quel Movimento che di alleanze non ne voleva sapere?
«Io ho sempre ritenuto che ci sono contesti in cui le alleanze sono indispensabili. È il caso del Parlamento, dove occorre costituire una maggioranza per governare, o nel caso delle cosiddette anatre zoppe nei Comuni. Ciò che contesto è che l’alleanza in Parlamento, sorta peraltro in un contesto complicato, si sia trasformata in alleanza strutturale nei territori. Questa trasformazione è stato il regalo più grande che abbiamo fatto al centrodestra, perché molti elettori, che non si riconoscevano più in alcuna categoria, hanno votato per quello schieramento».
A proposito di elettorato, il mezzo addio ad Emiliano potrebbe avere soltanto finalità elettorali?
«Alla luce delle reazioni del giorno dopo, ci sono dei chiari segnali che sia solo un espediente per la competizione delle Europee. Temo che anche quella di Emiliano sarà un’operazione di facciata, per mettere su una nuova giunta e mettendo in difficoltà il Movimento. Quello che è successo deve farci interrogare seriamente sul senso del campo largo. Il M5s è stato in grado di attirare elettori sia di destra sia di sinistra, che ritenevano insufficienti le vecchie ideologie. Oggi, collocandosi nel perimetro del centrosinistra, ha perso tutto quell’elettorato anche di destra, relegandolo molto spesso nell’astensionismo. Non credo proprio che l’Italia abbia bisogno dell’ennesimo partito di centrosinistra, ma di una forza che vada oltre le ideologie, in grado di essere attrattiva per tante persone che non votano più».
Sta toccando il “core business” della linea politica adottata dal presidente Conte. È una critica alla sua leadership?
«Quella di Conte è una leadership che non prende decisioni, se non sull’onda mediatica o in caso di emergenza, come accaduto in Puglia. Ma questo campanello d’allarme andava ascoltato già molto prima, e invece così non è stato».
Si legge un po’ di disillusione…
«Io considero finita la mia esperienza politica nelle istituzioni, anche perché la regola dei due mandati mi è sempre piaciuta. Come elettrice, sono quello che ero prima del M5s, sforzandomi, prima di andare a votare, di scegliere, di volta in volta, il meno peggio. Il M5s era questo, era oltre i partiti, ed era un valore in cui mi riconoscevo».