«Il presidenzialismo? Non è in contrasto con l’Autonomia differenziata. I Lep nascono per bilanciare l’uniformità dei servizi. È un modo per rendere concreto il principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione». Sabino Cassese, costituzionalista già giudice della Corte Costituzionale, avrà il complicato compito di presiedere il comitato che dovrà definire i Lep (Livelli essenziali delle prestazioni, ndr). Una squadra di sessantuno esperti, con competenze variegate, che dovranno scrivere nero su bianco quali sono i servizi che lo Stato deve garantire a ogni cittadino italiano, a qualsiasi latitudine. Si tratta di un passaggio essenziale per l’applicazione dell’Autonomia differenziata che il Governo, pressato dalla Lega, è determinato a portare a compimento.
Presidente, è di domenica la notizia che guiderà il comitato che avrà il compito di definire i Lep. Basteranno ad arginare i timori che l’Autonomia differenziata aumenti, invece di ridurli, i divari tra Nord e Sud?
«Commenti e critiche trovano la loro risposta nel disegno di legge approvato dal Governo, che dovrà passare all’esame del Parlamento».
Il fatto di definire dei livelli essenziali delle prestazioni a cui ogni cittadino ha diritto non sottintende che ce ne saranno altri a cui solo una parte del Paese potrà ambire?
«La loro determinazione è fatta proprio per bilanciare l’uniformità dei servizi con il rispetto delle autonomie».
Perché è così importante la loro definizione? Non basta il principio di uguaglianza già sancito dalla Costituzione?
«Il livello essenziale dei servizi, e quindi delle prestazioni, non è altro che un modo per rendere concreto il principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione».
Sarà alla guida di sessantuno esperti. C’è chi ha già detto che sono troppi e che c’è il rischio che si crei un “parlamentino” che ponga in secondo piano il vero Parlamento. C’è questa possibilità?
«Il Parlamento è il “dominus” della materia e gli organi tecnici sono strumentali alle decisioni che prenderà il Parlamento. D’altra parte, la varietà delle materie richiede anche una varietà di competenze tecniche tra coloro che svolgono un’attività istruttoria e consultiva».
Negli anni tutti i tentativi perequativi della spesa pubblica tra Nord e Sud hanno fallito. Tutt’oggi due regioni simili per numero di abitanti come l’Emilia Romagna e la Puglia registrano prestazioni sanitarie molto differenti. È solo un problema di capacità degli amministratori?
«Non ho in questo momento i dati sui trasferimenti statali alle regioni e non posso rispondere alla prima parte della sua domanda. Tenga presente che, a parte i trasferimenti vincolati quanto alla destinazione, le altre risorse fornite dallo Stato alle regioni sono da queste liberamente allocate ai diversi settori e che, quindi, una parte delle diversità discende da decisioni prese già oggi a livello locale in modo difforme. D’altra parte, se lo Stato italiano avesse voluto un ordinamento completamente uniforme su tutto il territorio nazionale, non avrebbe introdotto le regioni come enti autonomi e quindi capaci di darsi un indirizzo politico e amministrativo diverso tra loro e tra le stesse regioni e lo Stato».
Il progetto di decentramento dell’Autonomia differenziata sembra confliggere con un altro punto fermo, questa volta accentratore, della maggioranza parlamentare: il presidenzialismo. Come possono essere complementari?
«Quando si scelse la formula presidenziale per i comuni e per le regioni, non si disse che questo avrebbe consentito anche una sperimentazione, per essere poi trasferita allo Stato?».
Lei è stato ministro alla pubblica amministrazione con il governo Ciampi (1993-94). Oggi le difficoltà degli enti locali nel partecipare ai bandi del Pnrr rischiano di non fare centrare al Paese l’obiettivo di concludere i lavori entro il 2026. Mancano progettisti, ingegneri e il livello medio delle competenze è molto basso. Chi ha sbagliato?
«L’elenco sarebbe lungo. Innanzitutto, l’abbandono del principio del merito, la scelta del sistema delle spoglie e la lottizzazione. In secondo luogo, la scarsa attrattività del lavoro nel settore pubblico, anche per i livelli salariali. In terzo luogo, le difficoltà tradizionali dello Stato quando deve gestire spese di investimento piuttosto che spese correnti. Ma potrei continuare».