Il voto favorevole del Senato all’autonomia differenziata apre le porte all’ultimo passaggio legislativo all’autonomia differenziata: il voto della Camera.
Un iter lungo e non semplice quello del provvedimento particolarmente caro alla Lega che individua nei Lep, i livelli essenziali delle prestazioni, lo strumento per livellare verso l’alto i servizi pubblici ad ogni latitudine del Paese. Un punto su cui maggioranza e opposizione hanno a lungo dibattuto riguardo le condizioni in base alle quali una regione può chiedere maggiori poteri.
I timori, infatti, sono legati soprattutto alla mancanza di certezze in merito alle risorse per garantire i livelli essenziali dei servizi su tutto il territorio nazionale. Nel ddl Calderoli non è specificato in alcun modo che la richiesta di maggiori poteri possa avvenire solo dopo il finanziamento dei Lep.
Sono ventitré le materie su cui le Regioni a statuto ordinario potranno fare richiesta di maggiori poteri. Si va dalla salute all’istruzione, passando per sport, ambiente, energia, trasporti, cultura e commercio. Non sarà semplice, però, ottenere maggiore autonomia e, di conseguenza, le risorse e il potere legislativo ad essi collegati.
L’iter durerà almeno cinque mesi, compresi i sessanta giorni concessi alle Camere per valutare la richiesta. Il via viene dato da un decreto legislativo su proposta del presidente del Consiglio e del ministro agli Affari Regionali. Dopo il voto delle due Camere, servirà un nuovo decreto del Consiglio dei Ministri con il quale vengo individuate e trasferite le funzioni le risorse umane ed economiche che non possono essere eccedenti quanto previsto nella legge di Bilancio. Il tutto solo dopo l’individuazione dei Lep, dei costi e dei fabbisogni standard.
L’intesa con lo Stato non può essere superiore ai dieci anni ma può essere rinnovata con un preavviso di dodici mesi, oppure revocata da Roma. Quella di ieri, intanto, è stata l’ultima occasione per entrare nel merito del testo. È oramai prassi, infatti, che solo in una camera i gruppi propongono modifiche, lasciando al secondo voto, in questo caso quello della Camera dei Deputati, la semplice “ratifica” della legge. Un passaggio quest’ultimo che è ulteriormente facilitato dall’ampia maggioranza che il centrodestra ha a Montecitorio, in virtù anche delle differenze che la legge elettorale attribuisce ai due rami del Parlamento.