«Contro l’autonomia differenziata ci aspettiamo da Raffaele Fitto un impegno in prima linea all’interno del governo. Serve il protagonismo del territorio e bene ha fatto la Regione, tramite Loredana Capone, a prendere l’iniziativa con gli Stati generali». Pino Gesmundo, segretario pugliese della Cgil, non nasconde la propria preoccupazione riguardo alle scelte che sul regionalismo potrebbero sostenere il governo e la maggioranza parlamentare. Proprio il sindacato svolge un ruolo cruciale nella raccolta firme alla proposta di legge, che vede tra i primi firmatari Gianfranco Viesti e Massimo Villone, che mira a smontare le ambizioni “autonomiste” della Lega.
Segretario, cosa vi aspettate dal nuovo ministro per il Sud?
«Naturalmente la nomina è di pochi giorni fa. Avrà bisogno di un po’ di tempo ma Raffaele Fitto conosce bene il nostro territorio. Ci aspettiamo che comprenda il perché di questa battaglia. L’idea di una Italia divisa in due, dove si investe nel Nord per tenerlo agganciato all’Europa e si abbandona il Sud, relegandolo alla deindustrializzazione e da sostenere tramite sussidi, è una follia. Ci aspettiamo che sia dalla nostra parte perché il suo è un ruolo strategico, anche in virtù della delega al Pnrr».
Crede che su questa battaglia, per una volta, il Mezzogiorno riuscirà ad essere unito?
«Penso che l’iniziativa della Regione Puglia degli Stati generali vada in quella direzione, così come le prese di posizione dei presidenti Emiliano, De Luca e Schifani. È però necessario il protagonismo del territorio».
E quello dei partiti?
«Anche però, come tutte le organizzazioni nazionali, hanno sempre la difficoltà di contemplare le pressioni dell’altra metà del paese, comprese quelle di chi vuole l’autonomia differenziata».
Il Pd ne è un esempio, viste le posizioni espresse da Piero Fassino e Stefano Bonaccini.
«Certo, così come dentro Confindustria, dopo le parole del presidente pugliese, Sergio Fontana, in occasione dell’assemblea generale degli industriali baresi. È per questo che è importante il protagonismo delle forze sociali».
Questo scontro Nord-Sud rischia di “ingessare” la ripresa economica del Paese?
«Non bisogna cadere nell’errore della contrapposizione territoriale. Sarebbe una follia. Dobbiamo provare a spiegare perché la riduzione degli spazi economici per il Sud rappresenti la strada sbagliata. Senza il Mezzogiorno il Nord non può farcela a trainare tutti».
La Costituzione, però, prevede la possibilità di concedere maggiore autonomia alle regioni. Si può fare anche senza danni?
«Certo ma non è un obbligo, soprattutto a queste condizioni. Bisognerebbe mettere al centro i Lep (i livelli essenziali delle prestazioni, ndr) e lo spirito non dovrebbe essere quello di trattenere maggiori risorse nelle regioni ricche ma di portare i servizi, il welfare e la sanità laddove non ci sono o non sono sufficienti. Il tutto a causa di una distribuzione delle risorse sul territorio che sfavorisce strutturalmente il Sud. È questo il punto, invece si pensa a mantenere i vantaggi acquisiti».
Neanche sull’istruzione vede margini di confronto?
«Regionalizzare la scuola, dalle assunzioni ai programmi, vuol dire dividere il Paese. Mentre a livello mondiale si stanno ridiscutendo gli equilibri tra le nazioni, qui stiamo a ragionare del Veneto contro la Puglia. È una follia. Non è il momento storico per fare questo genere di operazioni politiche».
Il governo punta alla revisione del Pnrr. Il Mezzogiorno rischia di uscirne ridimensionato nei progetti e nelle risorse?
«Spero di no. La Puglia, ad esempio, ha dimostrato in questi anni di sapere spendere bene le risorse comunitarie. Il Piano rappresenta una grande opportunità ma serve una nuova visione industriale. Il Sud può diventare la piattaforma energetica del Paese ma bisogna anche programmare che le pale eoliche vengano costruite qui, ad esempio. Penso ad esempio a Brindisi e Taranto come un grande hub. Di questo dovremmo parlare».
A proposito del capoluogo ionico, si sta scatenando una nuova tempesta con lo stop alle ditte dell’appalto da parte di Acciaierie d’Italia.
«Il problema è che a Roma si continua a non decidere, eppure parliamo dell’azienda siderurgica italiana più importante. Se si lascia fare tutto al privato è normale che si guardi solo al profitto. Lo Stato deve prendere in mano la situazione. Altrimenti alla fine pagano sempre i lavoratori».