Il sen. Dario Stefàno non nasconde la propria delusione nel commentare il comportamento in Parlamento del Movimento Cinque Stelle. Anche per lui il voto di mercoledì in aula è uno spartiacque.
Senatore, chi non ha fatto abbastanza per fare funzionare i delicati meccanismi della maggioranza: il M5s, il centrodestra o lo stesso Draghi?
«Non credo che quanto accaduto, che è molto grave, sia stato frutto di un mancato funzionamento del complesso meccanismo della maggioranza: sarebbe un’attenuante che solleverebbe dalla grave responsabilità, gravissima, di Lega, Forza Italia e 5 Stelle che, per mero calcolo elettorale, (sbagliato peraltro io credo) non hanno avuto né la faccia né la voce di non dare la fiducia a Mario Draghi per proseguire l’importante lavoro avviato».
Il Pd, in tutta questa vicenda, è apparso compatto e granitico dietro la guida di Enrico Letta. C’è qualcuno nel partito che invece sperava in una breve durata di questo governo?
«Non lo credo affatto e voglio proprio sperare che nessuno abbia avuto tentazioni diverse. Anche perché giocare sulla durata di un governo guidato da una personalità come Draghi sarebbe a dir poco deplorevole, non rispettoso né delle Istituzioni né della personalità del presidente Draghi. Men che meno dei cittadini italiani».
Ora si apre la delicata fase delle alleanze. Secondo lei il Pd dovrà tornare a guardare al centro, in particolare a Renzi o a Calenda?
«Io penso che Il Pd non possa tenere fuori dal suo perimetro il riformismo e i riformisti, perché sarebbe come negare allo stesso tempo la sua vocazione maggioritaria – che non va letta come autosufficienza – e la sua caratura democratica».
Il ministro Dario Franceschini ha affermato che non ci sono i margini per proseguire lungo il “campo largo” tracciato con Giuseppe Conte e il Movimento Cinque Stelle. È davvero finita?
«Credo che il voto di mercoledì sia stato uno spartiacque tra chi vive le istituzioni con senso di responsabilità e chi non riesce a resistere alla tentazione di provare a piegarle per il proprio miglior conto elettorale. Conte e i 5 Stelle, non votando la fiducia a Draghi, hanno deciso di regredire alle forme più acerbe del confronto politico, riprendendo a parlare un linguaggio profondamente contrario a quello del Pd. Questo è un dato di fatto e questo è quello che conta».
Il Pd pugliese ora dovrà fare i conti con le candidature. Sarà più o meno facile senza aver prima svolto il congresso?
«Chiaramente le elezioni piombano su un percorso del partito non compiuto, di cui se ne sentiva e se ne avverte il bisogno. Ma oggi bisogna guardare avanti e dimostrarsi all’altezza della sfida».
Il nodo delle liste civiche, nate durante l’esperienza del centrosinistra in Consiglio Regionale, arriverà presto al pettine. Il Pd dovrà dialogare anche con loro?
«Il Pd farà il Pd se saprà dialogare con tutti mantenendo saldo il rispetto per i propri valori e per i propri principi. Mi persuade in questo senso l’approccio di Letta che ha indicato gli organismi di partito come unico luogo idoneo a sviluppare la discussione sulle formule e sulle modalità migliori per mettere in campo una proposta solida nelle ambizioni e nei valori ma anche attenta alle istanze dei territori».
La riduzione del numero dei parlamentari rischia di creare malcontento soprattutto nei grandi partiti, dove le ambizioni sono tante ma i posti pochi. Sarà un fattore anche questo che inciderà sul risultato elettorale?
«È una riforma ormai in vigore, rispetto alla quale io non ho mai taciuto la mia criticità in fase di approvazione, ma tant’è. Cosa voglio dire: il taglio dei parlamentari è vigente e ora bisogna solo prenderne atto. In questo quadro sta al Pd costruire la migliore proposta possibile, anche nella direzione di dare la migliore rappresentatività possibile ad ogni territorio».