Sergio Bellotti, musicista, professore al Berklee College di Boston: «Per me insegnare è una vera passione»

Reduce da un concerto, lo scorso aprile, alla Carnegie Hall, il “tempio” della musica a New York, con Freda World Music diretto da Leonardo Quadrini, guarda con entusiasmo, nonostante ne abbia solcati tantissimi, al prossimo palco su cui si esibirà, questa volta a Boston, a luglio, con The Temptations: Sergio Bellotti, barese, classe ’68, laureato negli Stati Uniti (dove è dal ‘95), è imprenditore (da 20 anni vende batterie in tutto il mondo con il suo negozio “247 Drums”, con cui commercializza le bacchette in alluminio da lui stesso create, un must per chiunque voglia imparare a suonare la batteria) e, soprattutto, è un batterista di fama internazionale di incredibile talento, che usa per continuare a divertirsi da matti suonando (Spajazzy è il suo gruppo di jazz fusion fondato con il partner artistico di sempre, lo straordinario bassista Tino D’Agostino), componendo (è suo il brano “Io so che tu sai” del CD appena pubblicato con Vince Tempera ed Enrico Santarelli, dal titolo “The time was now”), e insegnando alle giovani generazioni come accendere e far ardere dentro di sé il fuoco vivo della passione per la musica. Ha, infatti, appena compiuto i primi vent’anni di insegnamento al prestigioso Berklee College of Music di Boston (dove è associate professor di Batteria) e dal 2009 è al Conservatorio di Lugano come insegnante di Improvvisazione Jazz. Ma un talento come il suo non lo si può imbrigliare nei confini di un genere solo.

Sergio Bellotti, è d’accordo?

«La musica è come un accento, è un gioco di influenze. Magari il mio accento barese è inconfondibile ma ho viaggiato in tutto il mondo e questo si sente. Con la musica è lo stesso. Suono la batteria da quando avevo 15 anni, il mio primo Maestro è stato Michele Di Monte a Modugno, poi il guru della batteria italiana Enrico Lucchini a Torino, dove ho iniziato a suonare davvero. Dopo un paio d’anni lì, il “gancio” della mia vita: le navi da crociera, che mi hanno aperto gli occhi, gli orizzonti, le orecchie. Allora non c’era Youtube: girare il mondo, ascoltare stili diversi, imparare le lingue, conoscere e suonare con musicisti di ogni dove, mi ha aiutato a creare il mio stile. Oggi mi considero un musicista fusion».

Con un percorso pazzesco.

«Sono soddisfattissimo della mia carriera. Ma guardare indietro, osservare le tante cose che ho fatto, serve solo da stimolo per focalizzarmi sulla lunga lista di tutto quello che vorrei ancora fare».

Per esempio?

«In questo periodo scrivo musica, mi sono appassionato, fra qualche mese inizierò un master in ‘song writing’ per compositori. E, ovviamente, voglio continuare a suonare; sono tanti gli artisti con cui mi piacerebbe collaborare; primo fra tutti Sting, che seguo da sempre, ho iniziato a suonare ascoltando un album dei Police e l’ultimo suo concerto l’ho visto solo tre settimane fa: conosco la sua musica, mi sento pronto, sarebbe un sogno. Ma anche tanti artisti italiani, da Max Gazzè, ad Alex Britti, a Zucchero… Si continua, si studia, si suona. Collaborare con artisti di un certo spessore è motivo di crescita. Musica italiana bella ce n’è tanta e sarebbe bello portare un po’ più di Italia in qualcuno dei miei progetti: mantenere l’italianità, sia nello scrivere, sia nel suonare, è una delle cose che mi appassiona di più».

Ascoltandola, si direbbe che alle sue giovani leve insegni proprio passione prima che musica.

«Per me insegnare non è un ripiego ma una vera passione. Einstein diceva “Io non insegno, creo un ambiente in cui i miei allievi vogliono imparare”: il mio lavoro consiste nel creare un terreno così fertile che quando si gettano i semi la pianta cresce e loro possono annaffiarla, averne cura. Mi piace stimolarli, vedere la fiamma della passione che arde, tanto da chiedermi di studiare di più di loro iniziativa. E questo succede quando, dopo le giuste esplorazioni in altri ambiti, scoprono che è per questo che sono nati, il loro motivo di essere: la musica, la batteria. Solo così si riesce a dare il meglio. E quanto è bello quando succede!».

A Lugano lei insegna improvvisazione. Cosa significa per lei?

«L’improvvisazione è la massima espressione della libertà. Ancora oggi, quando prendo le bacchette in mano, c’è sempre quell’adrenalina, quell’eccitazione di non saper bene cosa sta per succedere. Ogni serata, ogni brano, ogni esperienza è diversa. Un’emozione unica ogni volta. Perché tu stesso sei diverso ogni giorno, ogni momento. Suoni e basta e non pensi a niente: le mani viaggiano da sole, come quando sei con un vecchio amico, senza alcuna inibizione. Ci sei solo tu, le tue bacchette, e la musica».

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