Rebeers e la Fovea. Revolution in Capitanata

Fovea. Una rivoluzione birraia che parte da Foggia e dalla materia prima del Tavoliere delle Puglie, il grano duro, e che da poco ha ricevuto un nuovo riconoscimento alla VIII edizione di “Cerevisia”, concorso annuale che premia le eccellenze birraie italiane.

«Mi sono laureato in Agraria con una tesi sul grano duro – spiega Michele Solimando, artigiano della birra, come ama definirsi -. Quello fu il mio primo vero approccio al mondo dei cereali, oltre ad essere figlio di coltivatori di grano. Dopo la laurea ho fatto l’agronomo per un po’ di anni, ma dal 2016, dopo aver lasciato il cosiddetto posto fisso, mi sono dedicato esclusivamente a questa attività».
Una storia da raccontare, quella di Solimando, della Fovea e del birrificio Rebeers, fatta di esperienza, fatica, studio e tanta tenacia.
Che cos’è Rebeers?
«Rebeers è uno slang anglosassone e significa “fammi un’altra birra”. Per me quel “re” iniziale è una ripartenza nel mondo birra, a cui si è unito il mio attuale socio Giovanni Simeone. È la mia seconda esperienza».
Mi parli di Fovea.
«Il mondo birra lascia molto spazio alla libera creatività del birraio, è chiaro, però, che ci sono delle regole da rispettare. Classicamente si fa dal malto d’orzo. Ma grazie alla mia tesi ho studiato a fondo il grano duro, oro della capitanata e allora ho iniziato a pensare di poter fare qualcosa proprio con questo tipo di grano. La primissima volta è stata nel 2014, con una birra di impostazione belga e lì al posto del grano tenero misi il grano duro. Così la mia sfida è diventata ancora più stimolante. Non esisteva il malto di grano duro sul mercato, perché ritenuto non ideale per fare birra. E allora ho iniziato a sperimentare. Ho cercato così di informarmi sempre più sulla maltazione, fino a che sono riuscito ad arrivare a realizzare il malto di grano duro e ottenere nel 2019 una prima piccola quantità di birra sperimentale, appunto la Fovea, che mi ha consentito di dire “Sì, ci sono difficoltà, ma si può fare!”. Siamo così arrivati al Beer Attraction di Rimini lo stesso anno, con questa produzione ancora in fase di prova.
A distanza di un anno siamo riusciti a tornare a Rimini con la prima produzione commerciale. Questa birra è stata poi premiata con la medaglia d’oro nel 2021 sempre al Beer Attraction, non più a Rimini, ma al Salone Internazionale dell’Alimentazione “Cibus” a Parma. È stato un orgoglio per noi, perché non eravamo più da soli nel dire che avevamo fatto una cosa diversa, ma c’era di mezzo una giuria internazionale! Con Fovea parliamo di un modo nuovo di fare birra, che non imita più la tradizione estera, ma parla la nostra lingua e per di più di capitanata, quindi pugliese».
Dal punto di vista organolettico quali sono le sue peculiarità?
«Fovea ha caratteristiche particolari. Il grano duro dà morbidezza. È una birra vellutata e volutamente ho tenuto in sottofondo il luppolo che dà quel sentore amaro perché volevo si esprimessero solo i cereali. Senti i sapori della campagna».
Qual è l’origine del suo nome?
«È l’antico nome della città di Foggia. Si chiamava Fovea perché era il granaio d’Italia. C’erano delle fosse, sottoterra, dove si conservava il grano, che appunto prendevano il nome di fovee».
Adesso che può dire di aver dato vita ad una birra fatta con il 100% di grano duro, qual è la sua prossima sfida?
«Continuare su questa strada e fare in modo che questa tipologia di birra venga riconosciuta anche a livello internazionale come una birra italiana, non solo perché prodotta su suolo italiano, ma perché l’idea di fondo è italiana. Ovviamente vorrei anche passare a più versioni di Fovea».
Ascoltando la sua storia si può affermare che ha seguito i suoi sogni. Si dovrebbe fare sempre così?
Risata. «La strada è molto rischiosa. Davvero tanto! Lo sconsiglio, se non si è fortemente motivati, perché nei momenti negativi si noterebbero solamente le sconfitte e si rischia di tornare sui propri passi o, ancor peggio, rimanere letteralmente per strada. Diversamente, se la motivazione è autentica allora va bene.
Io ho risolto un grandissimo problema esistenziale: cosa voglio fare da grande? Me lo chiedevo ogni giorno, prima di cambiare vita. Nonostante le difficoltà, adesso ho capito cosa voglio fare e sono felice di aver intrapreso questo percorso. Il mio è un lavoro che mi permette di esprimere la mia creatività mettendo insieme “testa e mani”».

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