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Marcello Veneziani a Bari per presentare “Scontenti”: «L’insoddisfazione? Alimenti il cambiamento»

«Non sono favorevole all’autonomia differenziata, ma il Sud è diventato incontentabile e in questa incontentabilità trova un alibi»: la pensa così il filosofo, giornalista e scrittore Marcello Veneziani. Nativo di Bisceglie, da sempre punto di riferimento punto di riferimento della cultura italiana di destra, Veneziani sarà oggi alle 18 a Bari, nella biblioteca della Fondazione…

«Non sono favorevole all’autonomia differenziata, ma il Sud è diventato incontentabile e in questa incontentabilità trova un alibi»: la pensa così il filosofo, giornalista e scrittore Marcello Veneziani. Nativo di Bisceglie, da sempre punto di riferimento punto di riferimento della cultura italiana di destra, Veneziani sarà oggi alle 18 a Bari, nella biblioteca della Fondazione Tatarella, per presentare “Scontenti”, il libro edito da Marsilio in cui analizza il malessere che attanaglia ormai l’intero mondo occidentale.

Direttore, lei ha parlato della scontentezza come “male oscuro della vita presente”. Qual è l’emblema della scontentezza in Italia?

«Difficile dirlo, perché quel male oscuro serpeggia in tutto il Paese e in tutto il mondo occidentale. Non ha un carattere territoriale o generazionale, colpisce dappertutto e chiunque, condannando chi lo vive a percepire una mancanza di corrispondenza tra la propria vita e i propri diritti, il proprio ruolo nella comunità, le proprie aspirazioni».

Lei, però, individua una delle più evidenti manifestazioni della scontentezza in quella che definisce “eco-ansia”: perché?

«L’“eco-ansia” riguarda le nuove generazioni. È l’angoscia per il clima: un sentimento talmente forte da indurre chi lo prova a prendersi cura del pianeta, dimenticando però il suo principale abitante che è l’uomo. Insomma, c’è la tendenza a preoccuparsi di quel grado di temperatura media in più, che rappresenta senz’altro un campanello d’allarme al quale bisogna rispondere, e non di tutto il resto. Il risultato è una cultura della paura diffusa che spinge ad avere terrore del futuro».

Lei parla della scontentezza come di un fenomeno diffuso e trasversale. In questi ultimi mesi, però, il dibattito sull’autonomia differenziata ha fatto riemergere la scontentezza di un Sud che si sente sempre più abbandonato. Quali caratteristiche ha questo sentimento?

«Il Sud è storicamente scontento. E il suo è uno scontento “alternato”: a volte si rimprovera al Nord di “invadere” il Mezzogiorno, altre volte di abbandonarlo. Invece il Sud dovrebbe assumersi la responsabilità e la croce delle sue contraddizioni e dei suoi problemi».

Vuole dire che lo scontento è diventato un alibi per il Sud?

«Proprio così. Oltre che scontento, il Sud è anche incontentabile e in questa incontentabilità trova un alibi. E io credo che la scontentezza non debba essere un “analgesico”, ma il carburante del necessario cambiamento. Certi piagnistei sono diventati francamente insopportabili. Ciò non toglie, comunque, che io sia contrario all’autonomia differenziata».

Perché? Il regionalismo non potrebbe essere la “molla” del cambiamento che lei auspica per il Sud?

«Bisogna fare i conti con un principio di realtà: l’Italia è cresciuta fino a quando Nord e Sud hanno camminato insieme, con uno Stato centralizzato che impiegava le risorse economiche del Settentrione e la classe dirigente del Meridione. Rotto questo equilibrio, si è affermato uno Stato “parassitario” e, alla fine, si è deciso di salvare le regioni più produttive eliminando la “zavorra” del Sud».

La Puglia è in prima linea contro l’autonomia differenziata: succede perché la sua regione è particolarmente scontenta?

«La scontentezza della Puglia non è diversa da quella delle altre regioni e del resto del mondo occidentale. Però c’è una differenza: negli ultimi decenni, mentre la Puglia è stata protagonista di una certa crescita, la parte tirrenica del Mezzogiorno ha dovuto fare i conti con crescenti problemi economici e di criminalità. E lo dico a prescindere dal colore delle varie amministrazioni regionali e locali. Questo perché la Puglia ha un’indole più pragmatica rispetto alle regioni vicine: Campania, Calabria e Sicilia avranno anche prodotto più geni, ma Bari e dintorni hanno dimostrato di saper affrontare meglio la modernità. E poi, se prima il Sud era identificato esclusivamente con Napoli e Palermo, adesso parlare del Mezzogiorno significa parlare anche di Bari, delle masserie pugliesi e del miracolo economico di Altamura e dintorni. Senza dimenticare quanto il cinema e la cultura abbiano recentemente contribuito a riabilitare la Puglia e ad affermarne un’immagine positiva».

Tra gli scontenti ci sono sicuramente gli elettori pugliesi di destra: non le sembra che, nella regione di Pinuccio Tatarella, la destra abbia ormai l’encefalogramma piatto?

«Purtroppo è così, salvo qualche meritoria eccezione. Il livello medio della classe dirigente espressa dalla destra pugliese negli ultimi anni è deprimente. La destra ha perso la Puglia, che era un suo baluardo, e non l’ha recuperata, proprio perché ha selezionato male quella classe dirigente, nel senso che non ha scelto le sue migliori espressioni».

Alla scontentezza della destra, quindi, corrisponderà ancora la contentezza del centrosinistra nei prossimi anni?

«Il centrosinistra è più strutturato sul territorio ed Emiliano è stato capace di attirare personalità anche da altri schieramenti. Uno come lui si sarebbe potuto candidare a destra come a sinistra. Non so cosa accadrò in futuro, ma è evidente che, al momento, il centrosinistra è molto più capace di attrarre».

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