Questa è una storia al contrario. È la storia di Angelo Vozza, classe 1993, chef tarantino, grande amante della sua terra e della cucina «mediterranea». Dopo numerose esperienze da Roma in giù e l’apertura di un ristorante a Taranto «tutto suo» il Lux, quando sembrava aver riconquistato le proprie radici Angelo sta preparando di nuovo la valigia. Vola negli Stati Uniti e sogna la sua prima stella Michelin.
Come nasce l’amore per la cucina?
«Nel mio caso, come credo in quello di numerosi altri colleghi, la cucina ha sempre fatto parte della mia vita. Il primo ricordo è nitido e domenicale. A casa di mia nonna: avrò avuto cinque anni e preparavo orecchiette e calzoni. Probabilmente quel giorno ha segnato la mia vita. Inevitabilmente».
La cucina è un mestiere durissimo. Lo è anche fisicamente. Cosa ricorda della sua prima esperienza professionale?
«Le mie prime esperienze sono state filo traumatiche. Come tutti ho iniziato come “Commis” di cucina, il garzone per intenderci: in un famoso ristorante romano. I ritmi erano dalle nove di mattina alle undici di sera. Tutti i giorni. Non so quante tonnellate di patate ho pelato», racconta Vozza sorridendo. «Ma di questo, nonostante tutto, ho un bellissimo ricordo esperienziale e della proprietà che ringrazio ancora oggi per l’opportunità che mi ha concessso, di imparare e crescere in un ambiente preparato e competitivo».
E poi un giorno, dopo tanto girare è tornato a Taranto…
«Non subito. A Roma ci sono rimasto per cinque anni. Poi ho scelto la Calabria, Reggio. Lì mi sono fermato due anni. Ho conosciuto la cucina calabra potentissima e saporita, in cui mare e montagna sono sempre a stretto contatto. Poi la scomparsa di mio padre ha stravolto la mia vita e non solo. Lì stavo davvero bene, ma ho deciso di tornare a Taranto e stare vicino alla mia famiglia. In questo momento, dopo alcune esperienze stagionali e l’intermittenza dovuta al Covid, ho deciso, grazie all’aiuto di un socio e della mia famiglia, di aprire un ristorante tutto mio, il Lux».
Oggi alla sua porta bussa l’America. Quindi molla tutto e riparte?
«L’America è la terra dei sogni e delle opportunità. Il mio ego molto marcato mi rende eccitato e impaziente. Quindi si mollerò tutto e partirò, con la difficoltà di lasciare qui la mia famiglia. Il ristorante – il cui nome , anche per scaramanzia al momento resta top secret – che ha deciso di puntare su di me si trova a Long Island, nello stato di New York. A gestirlo una coppia molto ambiziosa che mi ha procacciato, ammesso si possa dire cosi, sui social network. Il loro obiettivo, e di conseguenza il mio, è il raggiungimento di una stella Michelin. La cosa incredibile è che che tutto il progetto è nato da uno scambio di quattro telefonate. Impensabile che qualcuno, a questi livelli, in Italia posso investire su un professionista solo dopo un contatto sui social e poi qualche telefonata. Anche le modalità del mio ingaggio mi hanno convinto a partire perché di queste occasioni così ne capitano davvero poche nella vita».
Come definirebbe la sua cucina?
«La mia cucina è la sintesi delle mie esperienze, degli anni in cui si è sviluppata e cresciuta – anni della ribalta degli chef in ambito televisivo – grazie al mio carattere estroso e creativo. La tradizione è la base: mia nonna è in ogni piatto ma oltre che alla bontà curo particolarmente l’estetica del piatto. Siamo in era social, dove un piatto viene prima fotografato e poi assaggiato. Tanto che le storie di Instagram sono il miglior veicolo pubblicitario. Guardate cosa è successo a me».
Cosa consiglia agli aspiranti cuochi pugliesi?
«Lo chef oggi è visto e inteso come un’artista, al pari di pittori e scultori. Ci sono i pro e i contro come in tutti i mestieri. Il mio consiglio più spassionato per chi vuole avvicinarsi al mondo dei fornelli è di farlo con amore, passione e determinazione. E perché no, un pizzico di follia. Non esistono scuole che ti “finiscono” , esiste solo il sudore, il sacrifico dei weekend. Ho frequentato di tutto, ma tutto quello che sono e che so fare arriva dall’esperienza diretta».
Qual è il suo piatto del cuore?
«Il ragù della domenica di mia nonna. Non è semplicemente un piatto ma un’esperienza trasversale, multisensoriale, fatta di ricordi, odori, sapori, procedure e metodi. La cucina è soggettiva, ma credo che un mix tra quella italiana e quella giapponese mi soddisferebbe e non poco».