«Se nel terzo settore c’è un alto numero di donne, è più probabile che alcune di queste facciano carriera. Ma se non ci sono donne nei luoghi in cui si decide, è difficile che si attivino quelle azioni positive per creare le condizioni affinché emerga l’empowerment femminile. È importante imparare a proporsi per ruoli di leadership». Ne è convinta Gianna Elisa Berlingerio, direttora del dipartimento Sviluppo economico della Regione Puglia, che negli scorsi giorni, al Forum della Pubblica amministrazione 2023, ha ricevuto il premio “Rompiamo gli schemi”.
Direttora, lei a capo del dipartimento Sviluppo economico della Regione Puglia. Quali sono i vostri obiettivi?
«L’obiettivo principale è favorire un progresso della Puglia, a livello di lavoro e di impresa, che sia inclusivo e generi vantaggi per tutta la popolazione. Nella strategia complessiva regionale, il nostro compito è quello di creare le pre-condizioni per lo sviluppo delle imprese».
Quanto è importante che enti e istituzioni facciano rete?
«È un passaggio fondamentale. Per esempio, stiamo lavorando sulla pianificazione strategica del nostro assessorato al 2030. Ci è stato chiesto di riassumere in un solo indicatore tutte le nostre variegate attività: ne abbiamo scelto uno demografico: vogliamo invertire il calo demografico, dovuto a chi lascia la Puglia e alla denatalità, perché la presenza di residenti in regione implica che abbiano lavoro e servizi. Questo è necessario per attrarre investimenti».
Lei si occupa anche di politiche giovanili. Quali sono gli aiuti messi in campo per dare sostegno a chi vuole fare impresa?
«Dividerei il tema delle politiche giovanili da quello delle imprese giovanili, perché su quest’ultimo abbiamo una vasta gamma di aiuti. Ma se parliamo di politiche giovanili non ci riferiamo solo alla creazione d’impresa, ma a quel momento della vita, fra la fine degli studi e l’inizio del lavoro, che serve ad accompagnare i giovani, estraendo le loro idee non solo professionali, ma anche di progetto di vita nella comunità. L’anno scorso, con la campagna di ascolto “Puglia ti vorrei”, è emersa una strategia regionale che comprende temi come quello della prossimità, cioè di avere spazi fisici in cui incontrarsi».
E come state perseguendo l’obiettivo?
«Attraverso “Galattica”, un sistema che mette in rete, nei vari comuni pugliesi, gli spazi pubblici riqualificati. È stata creata la rete fisica, sfruttando spazi già esistenti. Ora in quella rete verranno veicolate una serie di iniziative, come “Percorsi di impresa”, una community con incontri, percorsi e momenti formativi diffusa sul territorio regionale, o come il servizio civile, che permette l’acquisizione di esperienze e il misurarsi con la vita di comunità».
Altro cavallo di battaglia è la valorizzazione della leadership femminile.
«Partirei da un dato statistico “strabiliante”: in Puglia siamo fermi al 30/31% delle donne che lavorano, uno dei più bassi in Italia. A sua volta, uno dei più bassi in Europa. È sia il pregresso, sia il portato di mancanza di donne nei luoghi in cui si decide».
Che significa?
«È alla base per un dato matematico: se nel terzo settore c’è un alto numero di donne, è più probabile che alcune di queste facciano carriera. Ma se non ci sono donne nei luoghi in cui si decide, è difficile che si attivino quelle azioni positive per creare le condizioni affinché emerga l’empowerment femminile. È una spirale da cui è difficile uscire, se non si mettono in atto meccanismi di rottura».
E come se ne esce?
«È importante imparare a proporsi per ruoli di leadership: in Puglia c’è una mentalità diffusa per cui le donne che lo fanno sono più rare rispetto agli uomini, talmente poche che le giovani si sentono meno naturalmente nelle condizioni di proporsi per questi ruoli. Vanno mostrati esempi di donne che hanno raggiunto l’obiettivo senza massacrare la loro vita. E non parlo solo della conciliazione vita-lavoro, che dovrebbe essere un tema sociale privo di connotazione di genere, ma anche della necessità di costruirne le condizioni, attraverso gli studi».
Per esempio?
«Con l’orientamento delle studentesse verso le materie Stem, che in questo momento portano verso lavori anche meglio pagati. Ma il problema non è solo delle donne, ma anche di chi seleziona».
Cosa vuole dire?
«Che nei ruoli in cui si accede per valutazione oggettiva delle competenze, in genere c’è parità o addirittura prevalenza di donne. Quando, invece, si agisce per scelta, è molto più difficile, perché a scegliere ci sono gli uomini, anche se ora c’è anche qualche luminosa eccezione. Però, basti guardare la politica: è tendente allo zero la presenza di donne nelle assise comunali e regionali. Nonostante l’intervento del Consiglio dei ministri, le consigliere regionali sono passate da cinque a sette su un totale di cinquanta. E così le assessore nella giunta: da due a tre su dieci. Le direttore di dipartimento? Tre su dieci. Per me è anche un problema di sviluppo economico».
Perché?
«Perché se non si valorizzano le competenze femminili, si fa affidamento su un parco lavoratori e talenti inferiore rispetto alle reali necessità della regione. Ritengo che ci sia un dovere di rappresentanza da parte delle donne che sono arrivate nei ruoli di responsabilità. Anche da questo passa lo sviluppo della regione».