«Ho scoperto che il “mal di Puglia”, questa nostalgia che credevo fosse soltanto mia, in realtà è un sentimento comune. La Puglia è un vero e proprio modo di affrontare la vita, con ironia e con la giusta leggerezza. È una visione del mondo che ho scelto di raccontare». Sono le parole di Michele Galgano, fondatore di Inchiostro di Puglia, la seguitissima community social.
Come nasce Inchiostro di Puglia?
«Nasce nel 2014, come blog che intende parlare di letteratura, di libri. E poi nel tempo si è evoluto in qualcosa di molto diverso da quello che era in principio».
Poi ha cominciato a raccontare storie di “pugliesità”?
«C’è stato un cambio di narrazione: agli albori era la Puglia raccontata dagli scrittori, poi è diventata la Puglia raccontata dalla gente comune, che aveva storie da far conoscere: storie di chi parte, di chi torna, di chi resta».
Qual è la storia che le è rimasta più impressa?
«Ne ho raccontate veramente tante, ma quelle che mi colpiscono di più sono quelle di chi parte. Essendo un pugliese fuorisede, le sento vicine e scopro che il “mal di Puglia”, questa nostalgia che credevo fosse soltanto mia, in realtà è un sentimento comune, anche se c’è qualcuno che non lo palesa. In una delle prime storie che raccontai, c’era una mamma che salutava la figlia a bordo di un pullman che partiva. È un’immagine che racconta un’Italia dove si è ancora costretti a migrare, anche se con la pandemia alcune cose stanno cambiando. Le belle storie raccontate da Inchiostro di Puglia di start up, stampanti 3D o intelligenza artificiale sono ancora gocce nel mare, perché il problema occupazionale è vivo».
A proposito di “pugliesità”, l’uso del dialetto è quasi un marchio di fabbrica. Crede che abbia contribuito a dare un senso di identità a questa community?
«Sì, perché “non si abita un paese, si abita una lingua”. E poi c’è chi diceva che “ogni cento metri il mondo cambia”, invece in Puglia ogni cento metri cambia un dialetto. Era difficile raccontare una terra così vasta e variegata e mi è venuta l’idea di italianizzare queste “sgrammaticature”. La lingua di Inchiostro di Puglia non esiste, ma mette insieme diverse peculiarità e poi ognuno le traduce nel suo dialetto. Io devo tantissimo a Gianni Ciardo, a Toti e Tata, a Gennaro Nunziante, che parlavano questo linguaggio già diversi anni fa, anche prima dei social».
Anche il claim “La Puglia è uno stato d’animo” ha riscosso grande successo.
«Infatti, non è solo una questione di dialetto, ma è un vero e proprio modo di affrontare la vita, con ironia e con la giusta leggerezza. È una visione del mondo che ho scelto di raccontare. Chi non è pugliese non riesce a percepire fino in fondo le implicazioni che ci sono dietro alcune frasi tipiche».
A poco a poco, da “contenitore” di storie si è trasformato in un brand di successo. Cosa aspettarsi in futuro?
«Adesso un progetto a cui tengo tantissimo è quello dell’uovo di Pasqua di Inchiostro di Puglia, che esce per il terzo anno di fila. Quest’anno, però, il progetto è cresciuto tantissimo e vedere che, sebbene Pasqua sia lontana, gli scaffali vengono già svuotati, significa che la community è molto affezionata. E poi, nel mio piccolo, mi piace dare una mano alla Puglia che lavora, perché dietro ogni progetto c’è tanta gente. Mi piace dare una mano all’economia locale con queste iniziative 100% made in Puglia».
E il sogno nel cassetto?
«Uno spettacolo teatrale».
Ma avrebbe mai immaginato tutto questo successo quando ha fondato Inchiostro di Puglia?
«No, all’inizio mi chiedevo sempre quanto sarebbe durato, perché sui social tutto ha vita breve. Invece sono passati dieci anni e siamo ancora qui. La longevità è quello che mi stupisce di più, Inchiostro di Puglia continua a essere fortemente seguito e la community dimostra sempre un affetto tangibile, che è il patrimonio più prezioso da preservare».
Ci ha detto che è un fuorisede, ma cosa la lega di più alla Puglia?
«Nel libro di Inchiostro di Puglia c’è un racconto nel quale Francesco Muzzopappa afferma che “quando si parte dalla Puglia, il cordone ombelicale non si spezza, ma si allunga”. È un legame che continua sempre. E poi viviamo in un mondo multietnico e globalizzato, nel quale la Puglia, adesso, può dare lezioni di inclusività a tanti».
Qual è il luogo più lontano da cui hanno scritto a Inchiostro di Puglia?
«Quando vedo le statistiche dello store online, gli acquisti vengono spesso da tutto il mondo. L’anno scorso un ragazzo originario di Massafra si fece spedire “da giù” un pacco che conteneva anche l’uovo di Pasqua di Inchiostro di Puglia, mandandoci poi una foto. Era a Rovaniemi, nel Nord della Finlandia, in Lapponia. Ma, in generale, sono tanti quelli che scrivono e fanno acquisti dall’estero, un po’ per la nostalgia, un po’ perché chi è andato via ha un certo potere economico».