Fabio Mancini, il supermodello di Giorgio Armani bello come Rodolfo Valentino

Chi sostiene che la vera bellezza sia soltanto quella interiore ha ragione e torto al tempo stesso. Perché, come è noto, anche l’occhio vuole la sua parte e del resto non sta scritto da nessuna parte che la beltà escluda altre doti. Non a caso Joseph Brodsky soleva affermare che “un essere umano è una creatura estetica, prima ancora che etica”. A conferma dell’importanza che ancora oggi conserva il culto della bellezza, autentica croce e delizia da millenni del genere umano e fonte sia delle più grandi venerazioni che delle più smodate invidie. L’ideale sarebbe una “bellezza ragionata”, come ci insegna la storia di Dorian Grey. Anche se a volte sembra quasi che ci vorrebbe Albert Einstein per far comprendere alla collettività che l’equazione “bello e impossibile” di cui parlava Gianna Nannini nella sua nota canzone non è detto che poi corrisponda davvero alla realtà. Come ci ha dimostrato in questa intervista il top model italiano, Fabio Mancini, “volto iconico” di Giorgio Armani, come viene spesso definito, con il quale, anziché parlare di gel, di estetica e di sfilate, ci siamo ritrovati invece a parlare di famiglia, di meditazione e del valore della gratitudine. Come fosse una specie di Buddha 2.0. La versione moderna. Quella sempre spirituale, sì, ma con in aggiunta addominali da paura. Ne è emerso un personaggio per certi versi inedito rispetto a quello che magari ci si poteva aspettare. Con la testa strettamente ancorata sulle spalle e con una visione chiara e nitida della realtà circostante. Forse anche per via delle sue particolari origini, intrise sia del misticismo indiano di derivazione materna che del pragmatismo pugliese di derivazione paterna. Si, perché la famiglia del padre di Fabio è di Castellaneta. La città natia di quel Rodolfo Valentino di cui sembra essere quasi un erede, dove tuttora si reca a trovare suo nonno e suo zio.

Fabio Mancini, partiamo proprio da qui. Dal suo legame con la nostra terra.

«Un legame speciale. Da piccolo ci andavo ogni anno per il periodo estivo e ancora oggi cerco di trascorrervi almeno un mesetto. Amo tutta la Puglia e mi ci reco spesso per lavoro. Anzi, ti dirò che nel mio piccolo, quando sono in giro per il mondo, cerco di “esportare” i sani valori pugliesi dell’umiltà e della dedizione al lavoro».

Guardandosi indietro, si sarebbe mai aspettato la carriera che poi ha fatto?

«Sinceramente no. Tutto è avvenuto per puro caso. Lavoravo come commesso in un negozio di via Monte Napoleone a Milano, quando sono stato adocchiato da un talent scouter che lavorava in stretto contatto con la maison del Signor Armani. E da lì è partito tutto. Ho avuto una gran fortuna, non c’è che dire. Anche se naturalmente poi, come tutti, ho dovuto fare la classica “gavetta”».

Armani, già. Ma è vero che, dopo quattordici anni di lavoro assieme, lo chiama ancora Signor Armani?

«Verissimo. Da sempre e per sempre. Del resto non sono mica l’unico. Chiunque gli dà del Lei all’interno dell’azienda».

Che rapporto ha con lui?

«Lo considero quasi un secondo padre. Gli devo tutto. È una persona che mi ha insegnato la cultura del lavoro. Il primo ad arrivare e l’ultimo ad uscire. Un autentico stakanovista che per me ha rappresentato e rappresenta tuttora un autentico esempio di vita».

Parliamo della bellezza. È solo un vantaggio o può anche rappresentare una gabbia?

«Per me ha costituito un grande vantaggio. Mentirei, se dicessi il contrario. Semmai può creare qualche complicazione nella vita privata, perché per farsi conoscere bene ed evitare facili preconcetti a volte occorre lavorare al doppio».

Sulla sua vita privata è più impenetrabile di quel Materazzi che, da interista, tanto le è stato a cuore. Rischio di essere trattato come Zidane se le domando qualcosa in merito?

«Ah, ah, ah, diciamo che chiedi troppo a questo giro. Però formare una famiglia e dare un tetto sicuro ai miei figli rientra sicuramente tra i miei progetti futuri».

La vita di un modello è tutto oro che luccica o ci sono anche molte rinunce? Il cibo, per esempio.

«Relativamente. Occorre dosarsi sull’alimentazione, quello sì, ma ognuno deve essere poi libero di regolarsi come meglio ritiene opportuno. La privazione più grande credo sia il tempo. Essendo costantemente in viaggio, talvolta non si riesce a dedicare il giusto spazio agli affetti».

Chiudiamo con il suo rapporto con i follower. È davvero molto seguito.

«È vero e li ringrazio di cuore. È un rapporto molto bello. Credo molto nel confronto umano e cerco sempre di rispondere a tutti e di cogliere il lato costruttivo anche delle eventuali critiche ricevute. Considero il mio profilo Instagram come una “agorà di pensieri”. Un po’ come accadeva nelle antiche polis greche. Nella mia visione della vita, d’altro canto, dare e ricevere gentilezza è la religione più gratificante».

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