Oggi, in un mondo sconvolto dalla guerra in Ucraina (qui, ci vorrebbe una voragine di silenzio, per zittire la violenza che agisce il solo scriverla la parola “guerra”), non c’è davvero spazio per festeggiare. Ma oggi, 8 marzo, è doveroso trovare spazio per le donne di ogni dove, i loro diritti, e la loro rivoluzione umana.
Per la senatrice e componente della Commissione per i Diritti Umani del Senato Emma Bonino «Kabul è metafora di tutti i luoghi dove si stanno violando i diritti delle donne». Per sottolinearlo, ha invitato oggi in Italia Shaharzad Akbar, attivista afgana per i diritti umani, attualmente in esilio, precedentemente vicepresidentessa del Consiglio di Sicurezza Nazionale per la Pace e la Protezione dei Civili e Senior Advisor del Presidente dell’Afghanistan per il Consiglio dello Sviluppo.
Da pugliesi, ospiti di circa 80 persone afgane, fra cui molte donne, che ora sono nelle case di accoglienza del territorio, ci siamo interrogate sul loro destino, indirizzando a lei le nostre domande.
Senatrice Bonino, già nel ‘97, ad un anno dalla salita al potere di allora dei talebani in Afganistan, richiamò l’attenzione dell’opinione pubblica sul destino delle donne afgane, come simbolo delle lotte femminili. Oggi ci risiamo, e il mondo sta andando a rotoli su tutti i fronti: impareremo mai?
«Spero, ma non credo. La tragedia ucraina di questi giorni ci dimostra che abbiamo la memoria molto corta. In Afghanistan era stato fatto molto, ma tutto è stato cancellato, di colpo, dalla presa del governo da parte dei talebani. Appena preso il potere, ad agosto, ci hanno chiarito, avrebbero applicato la Sharia e sappiamo tutti cosa significa. E mantenere i riflettori accesi è molto difficile. Per tentare di mantenere viva l’attenzione, con “Non c’è Pace Senza Giustizia” (www.npwj.org/it), abbiamo voluto fortemente organizzare una visita in Italia di Shaharzad Akbar. Non sono sicura che impareremo. La ritirata statunitense e nostra ha determinato un nuovo tracollo, e i venti di guerra geograficamente più vicini ci hanno già fatto dimenticare quella tragedia».
A che punto siamo con la sua proposta dello scorso settembre di istituire una Commissione internazionale di monitoraggio sui diritti umani in Afganistan?
«Il Governo italiano ha promosso la mia prima proposta di chiedere al Consiglio dei Diritti Umani, a Ginevra, l’istituzione di un Meccanismo di Monitoraggio, resa possibile grazie all’attenzione del Ministero degli Esteri che, con il sottosegretario Benedetto Della Vedova, ha difeso questa posizione per l’individuazione di un Rapporteur Speciale che monitorerà, con rapporti periodici, la situazione dei diritti umani, in particolare per la mortificazione dei diritti di donne e bambine».
Qual è la situazione delle rifugiate in Italia?
«Direi che non è buona, considerando, da un lato il numero di tragedie che si susseguono e, dall’altro, la burocrazia italiana, che impedisce per mesi il riconoscimento dello status di rifugiati a chi scappa dalle guerre. La crisi ucraina ha aperto, però (come riferito dal Presidente del Consiglio Mario Draghi), la possibilità di implementare finalmente una Direttiva europea, la 55 del 2001, che agevolava la protezione temporanea per le persone in fuga, garantendo loro il diritto all’accoglienza e, a tutti, i diritti sociali fondamentali quali lavoro, formazione, assistenza e istruzione per i minori. Il mio auspicio è che lo stesso sforzo si faccia anche con gli afgani, i curdi (che ci hanno difeso contro l’avanzata dell’Isis, lasciati nelle mani di Erdogan) e per tutte le persone che dal Mali al Burkina Faso fuggono da situazioni terrificanti».
Cosa possiamo fare noi cittadine e cittadini?
«Dobbiamo essere pazienti e, aggiungerei, umani. Vede, i costi delle sanzioni per la Russia saranno certo per il Paese aggressore e Putin, soprattutto, ma incideranno anche su di noi, non solo per il costo dell’energia, ma anche per quello di alcune materie prime non rare, come il grano. Non lasciamo che l’emozione provata al momento delle aggressioni si diluisca, né tra qualche mese, quando gli effetti ricadranno anche sui cittadini italiani, né lasciando il posto alla prossima tragedia».
La guerra è frutto del patriarcato?
«Non so se possa rispondere seccamente con un sì o un no. Di fatto, le invasioni e le aggressioni con occupazione militare storicamente vedono l’uso dello stupro come arma di conquista. E lo stupro è certamente figlio di una concezione di possesso della donna che origina dal patriarcato».
Oggi, decisamente, non è tempo di festeggiare. Ma, come afferma la Senatrice, è tempo di essere umane e umani; di trasformare paura e disillusione in forza. Per continuare ad armarci di diritti e di giustizia, finché rispetto reciproco sia. Fra nazioni, popolazioni, generi, persone. Ucraine e afgane per prime.