Dalle partite del Bari alla conduzione in Rai, Attilio Romita si racconta: «Lo scoop ai tempi di Bush»

«Ho iniziato da giornalista sportivo, ma gli anni più belli della mia carriera li ho vissuto da cronista parlamentare. Quando Bush, rispondendo a una mia domanda, annunciò come la guerra nel Golfo fosse ormai inevitabile, ho capito di avercela fatta: avevo posto la domanda decisiva all’uomo più potente della terra». A sfogliare l’album dei ricordi è Attilio Romita, giornalista barese, storico inviato e conduttore dei telegiornali Rai.

Attilio Romita, come nasce la sua passione per il giornalismo?

«Ero giovanissimo e studiavo giurisprudenza, ma ero appassionato di calcio e seguivo tutte le trasferte del Bari, anche in C, insieme a un gruppetto di amici, tra cui Beppe Capano. Tutto a spese nostre».

E come muove i primi passi?

«Telebari ci dava una macchina e ci pagava la trasferta. Noi ci appollaiavamo sul balcone di qualche palazzo intorno agli stadi e riprendevamo l’intera partita. Citofonavamo e chiedevamo ospitalità. Guadagnammo anche una certa notorietà: i tifosi, di notte, ci aspettavano sotto la sede dell’azienda, per accertarsi che fossimo rientrati con la cassetta».

Chi sono i suoi maestri?

«All’inizio ho fatto molta esperienza sul campo, ricordo ancora il cuore a mille alla prima diretta. Il mio primo vero maestro è stato Mario Gismondi al quotidiano “Puglia”. A fine giornata, prendeva i pezzi che avevo scritto e mi spiegava gli strumenti di base della professione. Era scuola di giornalismo tutti i giorni. Ho fatto la classica gavetta».

L’appassiona più il giornalismo sportivo o la politica?

«Gli anni più belli della mia carriera li ho vissuti facendo il giornalista parlamentare. La politica mi ha completamente assorbito. Continuo a essere un appassionato di sport, ma la mia passione professionale è stata la politica. Fare il ‘chigista’ durante il governo Berlusconi mi ha fatto avere una patente di credibilità importante. E poi è iniziata la storia da conduttore».

Quali sono i ricordi più belli del lavoro in Rai?

«Il momento in cui mi si è gonfiato il petto, in cui ho pensato che da ragazzo di provincia sbarcato a Roma con mille preoccupazioni ce l’avessi fatta, è stato quando, alla vigilia della seconda guerra nel Golfo, Berlusconi incontrò a Camp David il presidente americano Bush per capire il ruolo dell’Italia in quella guerra. Fui sorteggiato fra una ventina di giornalisti per porre la domanda al presidente americano».

Cosa accadde?

«Una settimana prima che iniziasse la guerra, Bush, rispondendo alla mia domanda, mi regalò lo scoop, annunciandomi che era inevitabile. Divenne il titolo di tutti i giornali del mondo e la mia domanda in inglese passò un centinaio di volte nelle radio americane. Capii di aver posto la domanda decisiva all’uomo più potente della terra in quel momento. Fu una grandissima soddisfazione».

Qualche aneddoto particolare, invece?

«Durante la campagna elettorale nel collegio del Mugello, in cui si scontrarono Di Pietro, che poi sarebbe entrato in Parlamento, e Giuliano Ferrara, mi si avvicinò il primo, chiedendomi dove fosse il secondo. Io andai in diretta e annunciai una sorta di pace fatta. Cinque minuti dopo, scoppiò un dibattito accesissimo e fui clamorosamente smentito. È stata la notte più brutta della mia vita professionale».

Preferiva la conduzione o il lavoro da inviato?

«Non ho mai smesso di fare entrambe le cose ed è stato un ottimo investimento professionale, perché in quel periodo in cui ero conduttore e inviato conquistai un peso notevole in azienda».

Perché ha deciso di partecipare al GF Vip?

«Avevo passato tutta la vita da frontman della Rai, il classico mezzo busto un po’ ingessato, formale e attento nella postura e nel linguaggio. Credevo fosse l’occasione per far conoscere al pubblico l’altra faccia della medaglia, quella di una persona a cui piace scherzare molto. Andando in una casa di giovani, avevo immaginato una forma di rispetto, sia solo per la differenza di età».

E invece?

«E invece qualcuno non aveva nulla da perdere: era alla ricerca solo di popolarità e successo e ha cercato anche di smontarmi. Ogni cosa dicessi diventava un caso. Mi è costato molto. Per un po’ non ci ho dato peso, poi ho iniziato a rispondere a tono e purtroppo mi sono conformato a quel sistema. Avrei preferito mantenere sempre il mio profilo».

Cosa le rimane di quell’esperienza?

«Ho imparato a saper gestire quella situazione, oggi saprei farlo. Non ero abituato, ma comunque è stata un’esperienza».

Oggi cosa fa?

«Avrei continuato volentieri a lavorare a Mediaset come opinionista nei talk show, ma dopo il rumore di quell’edizione del GF Vip l’opportunità è sfumata. Così ho ricominciato a svolgere la mia attività di moderatore di convegni, presentatore di libri, conduttore di serate. E poi, essendo in pensione, qualche spazio libero per me stesso non è neanche male».

Cosa consiglia ai giovani giornalisti?

«Dimenticare che la professione del giornalista sia quella vista nei film. Il mondo dell’informazione è cambiato e le autostrade elettroniche corrono più veloci di quelle umane. La vita del giornalista oggi non è viaggi e grandi avventure, ma quella di un professionista che, dietro a un pc, monitora quello che accade nel mondo. Bisogna prendere coscienza del fatto che la professione è cambiata, ma resta sempre un bellissimo mestiere».

E poi?

«E poi bisogna conoscere bene le lingue, avere specifiche competenze informatiche ed essere mossi dalla passione, perché è un lavoro che comporta grandi sacrifici. Senza queste caratteristiche, è difficile avere successo».

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